…segue da qui.
Per la prima volta prendiamo lo Shinkansen, il treno super veloce giapponese (a proposito, non è assolutamente vero che i treni son sempre in orario qui), per arrivare a Kanazawa, dove ci aspetta Satoru, un ragazzo mezzo boliviano e mezzo giapponese che ci ospita con il Couchsurfing. Stiamo da lui tre giorni e nel frattempo continuiamo il nostro giro turistico. Andiamo ai giardini, mangiamo al mercato del pesce (che ci è piaciuto molto di più del Tsukiji, il famoso mercato del pesce di Tokyo), guardiamo il castello, visitiamo il museo di arte contemporanea, diversi templi e santuari. Visitiamo per la prima volta i quartieri dove vivevano i Samurai e le Tea House dove si esibivano le geisha (io personalmente son rimasto un po’ deluso visto che entrambe queste attrazioni sono semplicemente dei luoghi da visitare e non esistono delle spiegazioni in inglese sulla vita di samurai e geisha – le poche informazioni presenti sono in giapponese).
Poco al di fuori della città c’è Kaga Onsen, un paese termale, e decidiamo di passarci un pomeriggio. Il paese è completamente immerso nel verde ed è uno dei posti più rinomati del Giappone per la presenza delle sue fonti naturali di acqua termale. Al centro del paese si trova l’Onsen, un bagno pubblico, dove i giapponesi si fanno il bagno tutti insieme e si trastullano con le acque calde (incandescenti direi) delle sorgenti. Decidiamo quindi di fare quest’esperienza.
Arriviamo all’entrata della sezione maschile e alla reception troviamo una donna. Proprio davanti a lei si trova un distributore automatico dove poter comprare i ticket per poter avere asciugamani, shampoo e tutto il necessario: chiedere direttamente alla reception – visto che era la signorina stessa che poi ti consegnava il tutto, dopo averle mostrato i ticket, gli risultava troppo difficile evidentemente. Entriamo e ci troviamo come mamma ci ha fatti davanti a un gruppetto di anziani giapponesi. Nel mentre la receptionist, furbetta, faceva avanti e indietro.
In origine questi bagni erano un centro per socializzare e passare il tempo – come dire noi andavamo al bar, invece i giapponesi andavano a farsi il bagno. Come entriamo, invece, vediamo tutti concentrati a scrostarsi in silenzio. Pensavamo di rimanerci un bel po’ invece scopriamo che l’acqua della spa è incandescente ed è quasi impossibile rimanerci per più di dieci minuti senza svenire e affogarci dentro.
Ci asciughiamo, nel mentre che la furbetta fa sempre avanti e indietro, usciamo, e continuiamo la nostra passeggiata per il paesello. La gente sembra rilassata e molto cordiale qui, addirittura un signore che avevamo incontrato poco prima dentro l’onsen, ci offre un caffè al bar.
Una volta rientrati a Kanazawa, continuiamo a mangiare e bere come se non ci fosse un domani. Fino ad’ora non abbiamo mangiato lo stesso tipo di piatto due volte. Non possiamo dire la stessa cosa delle birre invece.
Satoru la seconda notte ci porta in un locale underground di Kanazawa, sorprendentemente con musica di qualità e dove troviamo un paio di musicisti con cui scambiamo due chiacchiere velocemente, e da cui riusciamo ad avere la chitarra e cajón; facciamo quindi una veloce jam session.
Prima della mezzanotte prendiamo l’ultimo bus per rientrare a casa e buttarci a letto – o meglio – nel futon.
Il giorno dopo salutiamo Santoru e partiamo per Takayama.
Arriviamo a uno degli ostelli più organizzati e puliti in cui sia stato negli ultimi anni (e posso dire che ne ho girato parecchi). Ci fiondiamo subito nel centro città, che scopriamo essere inondato di turisti. Prima tappa: distilleria di sake. A 200Yen (circa 1,50 Euri) compriamo un bicchierino in ceramica e a disposizione ci danno un frigo con una decina di bottiglie di sake. Proibito assaggiare più di uno alla volta, dice un cartello. Ma noi siamo italiani, quindi chissene, siamo esenti da questa regola.
Iniziamo ad essere un po’ stanchi dei soliti templi, santuari e compagnia cantante quindi decidiamo di rinchiuderci nel baretto di una signora anziana, con i soprammobili risalenti a qualche secolo fa, prima di andare a mangiare…pizza! Vi sembrerà strano ma avevamo voglia di pizza dopo giorni di riso e noodles. Sorprendentemente, era deliziosa!!
Per il giorno dopo invece prenotiamo una gita in bus a Shirakawa-go, un villaggio storico Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, adagiato in un valle tra le Alpi giapponesi, famoso per le sue case tipiche con il tetto spiovente di paglia in “Gaashooooo Style”, come urlava Yamamoto, la nostra guida sciroccataa. La guida è un giapponesino fulminato che parla come un cartone animato e non si capisce niente di quello che dice, ma fa morire dal ridere solo vedere le sue espressioni facciali e sentirlo nominare “Shirakawa-Gooo”. Dopo una ventina di minuti non riesco a seguirlo più però e mi appisolo, come sempre mi capita nei mezzi di trasporto.
Spendiamo mezza giornata a passeggiare sotto il sole cocente poi torniamo a Takayama. Per caso, e ripeto per caso, ricapitiamo al negozietto dove offrono la degustazione di sake a 200Yen. Con grande gioia di Daniele (sono ironico) affittiamo una bicicletta e ci faccio un giro di un’oretta per le vie della città. Una cittadina sorprendentemente affascinante, con un centro storico fatto di case in legno in stile giapponese e un fiume che la attraversa elegantemente.
La sera ci concediamo una cena a base di Hida, il manzo doc giapponese e poi iniziamo a girovagare senza meta per le vie del centro città. In una via quasi deserta, sentiamo dei rumori provenire da un localino quasi nascosto. Ci affacciamo e, attratti dall’atmosfera e dalle luci rosse, entriamo. L’atmosfera diventa ancora più accogliente di quella che ci eravamo immaginati. La proprietaria, Hisayo, con il suo fare in po’ gypsy è amorevole, simpatica e socievole. “Io ho un animo latino”, ci dice. Insomma, una giapponese fuori dagli schemi. Dopo aver bevuto qualche whiskey, ci offre un assaggio del sake locale ( noi ovviamente abbiamo fatto finta di non conoscerlo). Una volta usciti, scopriamo che il nome del locale è Red Hill ed è menzionato come migliore pub di Takayama dalla Lonely Planet. Si giustificano così i diversi occidentali presenti nel locale.
La mattina successiva, dopo un viaggio della speranza, arriviamo a Nara, poco più a sud di Kyoto. Una tappa decisa all’ultimo momento. Anche qui, la città è invasa di turisti. Siamo però fortunati e incappiamo nel Tokae, il festival delle lanterne. Praticamente la città viene ricoperta da più di 20000 (ventimila!) lanterne e tutto diventa magico: i templi, i giardini, i laghi, i chioschetti e le ragazzine agghindate con fiori in testa, vestite da cerimonia con abiti tipici e zoccoli in legno su cui nessuna di esse sa camminare ma “vabbé noi siamo giapponesi e ce ne freghiamo di questi dettagli”.
Ai lati delle strade si vende cibo di strada a più non posso e siccome io ne vado matto ne scelgo un paio e lo trangugio mentre passeggiamo tra il fiume di gente che ci trasporta da una parte all’altra.
Il simbolo di questa cittadina è il cervo. Circa 1500 cervi domestici (così si dice ma secondo me sono molti di più) scorrazzano felicemente per i parchi della città. Dalle persone del posto son considerati sacri quindi guai a chi li tocca! Ovviamente questi poveri disgraziati, ogni giorno, devo subirsi mille carezze e anche più selfie dalle migliaia di turisti, sottoscritto incluso. Ma almeno hanno una magra consolazione: dei biscottini per animali che le bancarelle vendono ai bordi delle strade e che a quanto pare molti li confondono per prelibatezze locali.
Anche qui a Nara qualsiasi cosa è al suo posto, bello, ordinato, pulito. Nonostante le migliaia di persone che affollano le strade, in terra non si vede un pezzo di carta. Camminare tra i giardini e le strade del centro è rilassante e piacevole e noi lo facciamo finché non ci consumiamo le ginocchia.
Nara è anche famosa per il Todai-ji, il più grande tempio in legno del mondo dove al suo interno si trova un’enorme statua di buddha. Andare al di sotto di questa statua viene descritta dalle guide come un’esperienza trascendente ma visto il numero di turisti in fila decidiamo immediatamente di voltare le spalle al buddha e ciao trascendenza.
Il giorno dopo partiamo per Kyoto. Sarà che è un fine settimana, ferragosto ed estate, sia per gli europei che per tutto l’estremo oriente, le strade di Kyoto sono inondate di turisti. Qualsiasi angolo della città è affollato rendendo difficile addirittura camminare. Per non parlare delle principali attrazioni turistiche; nei templi, nei castelli e nei quartieri più rinomati bisogna fare la fila. Nonostante anche Kyoto sia molto affascinante e osservo qualsiasi angolo della città a bocca aperta, per la prima volta in tutto il viaggio mi sento parte di un gregge. Ovunque andiamo ci sentiamo trasportati – letteralmente – dalla folla.
Kyoto è immensa e dopo due settimane passate a scarpinare iniziamo a sentire la stanchezza fisica quindi decidiamo di usare e abusare dei bus.
In tre giorni visitiamo Gion, il quartiere delle geisha (ma di geisha manco l’ombra), Pontocho, una via caratteristica con diversi locali e ristoranti, il mercato Nishiki, la foresta di bambù nel quartiere di Arashiyama, il Museo Nazionale e assistiamo a uno show misto di Kyogen (una forma di teatro comico), danza kyo-mai (la danza delle maiko – le geisha di Kyoto), la cerimonia del tè, flower arrangement (l’arte di disporre i fiori in un vaso – mah!), le suonatrici di Zither Koto (uno strumento tradizionale) e Gagaku (musica di corte). Poi visitiamo il Santuario di Fushimi Inari-taisha, un intricato e affascinante cammino che porta a diversi templi o luoghi di culto, ricoperto di porte scintoiste rosse, che creano un senso di profondità unico.
Infine facciamo una passeggiata nella via dei filosofi, un cammino in ghiaia ai piedi della montagna, che percorre un rigagnolo, dove per fortuna riusciamo a prendere un po’ di aria fresca e scappare per un po’ dall’esercito di turisti.
Spendiamo il pomeriggio dell’ultimo giorno a rilassarci e per la notte decidiamo di pernottare in un Ryokan, la guesthouse tipica giapponese, con camere in stile nipponico e la spa inclusa. Io personalmente, stanco delle ultime settimane di corse, mi concedo anche un massaggio in un centro specializzato.
Purtroppo non capisco che i pantaloncini dati a disposizione servono solo come sostituto dei miei pantaloni e mi faccio trovare sdraiato a petto nudo, scaturendo terrore nella povera massaggiatrice che appena entra si copre la faccia con braccia incrociate davanti alla faccia in stile ninja. Il massaggio alla fine è uno dei migliori che abbia avuto negli ultimi anni, con tanto d consultazione finale sul mio stato fisico generale. Il verdetto è stato penoso.
L’ultima notte ci fermiamo in città ad ammirare le luci del Gozan no Okuribi, un festival durante il quale le valle delle montagne circostanti si illuminano con caratteri cinesi infuocati. Come sempre qualsiasi angolo della città è affollato e i fuochi vengono esposti nelle vallate attorno alla città a chilometri di distanza, abbastanza lontani. Insomma, non vediamo una bella cippa. Ci divertiamo, però, a osservare la miriade di vigili che come sempre, abbelliti con luci che sembrano quelle di un albero di natale e con spade luminescenti alla star wars, cercano di fare i duri, gridando, e dirigendo il traffico di gente.
Il giorno dopo prendiamo un altro treno per l’ultima tappa del nostro viaggio: Osaka. Pianifichiamo tre notti ma appena arriviamo ci accorgiamo che in città, oltre a visitare i soliti templi, castelli e market, non c’è tanto da fare quindi passiamo il pomeriggio a visitare un paio di quartieri caratteristici.
Un’esperienza degna di nota è quella fatta nel Maid Caffe. Per chi non lo sapesse, sono quei locali dove le cameriere sono vestite da anime e intrattengono i clienti in qualsiasi modo – sostanzialmente facendo le cretine. Appena entriamo arriva la nostra cameriera con un sorriso finto a trentatré denti, tutti storti; in Giappone, insieme al camminare con i piedi all’indentro, a quanto pare fa cool portarli così – al tal punto che si va dal dentista per farsi fare i denti storti. Ci viene offerto un set menu con i diversi pacchetti (niente di cheap sia chiaro) tra cui poter scegliere tra tipi di piatti, bevande, dessert o altri servizi come foto, giochi o gadget da portarsi a casa. La cameriera ci porge una candela finta spenta a forma di torta, grande quanto un’unghia, su cui lei soffia. Magicamente la candela si accende e tutti e tre, ammaliati da questa magia senza precedenti applaudiamo felicissimi. Poi una volta arrivati i nostri dessert, un’altra cameriera ci chiede di fare una coreografia ponendo le mani a forma di cuore, non so, forse come rito propiziatorio. Insomma, passiamo un’ora tra risate e facce di incredulità, a chiederci se tutto ciò sia vero o meno.
Avendo speciali attenzioni da parte di ragazzine vestite da cartoni animati, a quanto pare, i signorotti giapponesi si riempiono la propria solitaria esistenza. Un ulteriore segno che la società giapponese sia nella fase più decadente della storia dell’essere umano.
Per sfuggire dal caldo soffocante della città, il secondo giorno prendiamo un treno per scendere al sud del Giappone, nell’isola di Itsukushima. Anche qui il sole batte forte quindi dopo aver visitato l’immenso Grande Torii – un gigante portone giapponese costruito nell’acqua, che crea uno spettacolo molto suggestivo – andiamo dall’altra parte dell’isola e passiamo il pomeriggio in spiaggia. Anche qui i cervi si trovano ovunque e cercano di farsi amici i turisti che grigliano e fanno pic nic in un grazioso parco in stile giapponese poco prima della spiaggia.
Mentre prendiamo il sole si avvicina un signore giapponese sulla settantina con voglia di praticare l’inglese (o forse la birra che aveva in mano non era la prima che si beveva), che ci racconta del suo lavoro e della sua vita. L’acqua non è delle migliori ma la spiaggia in sé si trova in una baia circondata dalla foresta e nel cielo ci sono i falchi che svolazzano da una parte all’altra.
Finalmente passiamo un po’ di tempo a trastullarci al sole e a riposare i nostri corpi gonfi di riso e birra.
Torniamo a Osaka per cena e ci mettiamo a letto.
Il giorno dopo ci svegliamo e ci rechiamo al Summer Sonic, un festival musicale che avevamo trovato quasi per caso su internet qualche mese prima di partire e a cui decidiamo di partecipare principalmente per poter vedere i Foo Fighters.
Passiamo il giorno a girare per i diversi concerti sotto il sole cocente e a consumare i nostri ultimi Yen in cibo e birre. Anche qui le cose bizzarre che notiamo non sono poche. Per esempio, ci rendiamo conto che la coda letteralmente chilometrica che troviamo all’entrata non è per comprare il biglietto d’entrata o per vedere qualche gruppo musicale, bensí per il merchandising! I Giapponesi son talmente ossessionati dai gadget che fare ore e ore di fila sotto il sole cocente e quasi 40 gradi, non li disturba affatto. Tra l’altro, oltre che ai gadget, son ossessionati ance dalla paura di abbronzarsi, quindi attendono in coda coperti da delle copertine di cotone che solo a vederli ti facevano venire voglia di svenire. Ascoltando i gruppi, pochi si entusiasmano e/o ballano, dappertutto si sta in fila in silenzio e ordinati e per terra neanche un bicchiere o un pezzo di carta. Wow.
Noi invece siamo italiani e non conosciamo le file, quindi entriamo ovunque e per stare sotto il palco avanziamo senza farci problemi, in modo da poterci godere lo spettacolo il più vicino possibile.
A fine serata siamo esausti. Per fortuna il festival finisce presto (figurati se i giapponesi stanno in giro fino a tardi). Veniamo sballottati da una parte all’altra fino a che non riusciamo ad arrivare all’ostello. Siamo stanchi morti ma con ancora tanta adrenalina e emozioni di qualsiasi tipo.
Da un lato la tristezza di dover lasciare questo affascinante paese, dall’altra una valigia di esperienze che dubito dimenticheremo facilmente.
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