Perché la nuova Zelanda? Per la natura, easy as – come direbbero i neozelandesi.

Si viene in Nuova Zelanda per immergersi nella natura, respirare aria pura e e condividere lo stile di vita rilassato dei neozelandesi.

A fine anno del 2017 non sapevo bene dove sbattere la testa (non che ora lo sappia). L’indecisione mi perseguitava: rimanere in Australia o andare altrove?
Per una serie di motivi che non sto a disquisire qui, decisi di connettermi al sito del governo neozelandese, creare un account, applicare per il
working holiday visa, comprare il solito biglietto solo andata e partire per la terra del rugby e dei kiwi.
Questa era più o meno la mia conoscenza della Nuova Zelanda.
Non so perché ma la Nuova Zelanda non era mai stata nella mia
bucket list e non mi ero mai documentato approfonditamente. Decisi di andarci solo per un fatto di comodità.
Grazie comodità, ti ringrazierò per tutta la vita.
C’è stata una complessissima relazione di amore e odio con l’Australia. Lasciarla mi rendeva triste e felice allo stesso tempo. Imbarco con le idee un po’ confuse ma con il sorriso sulle labbra, eccitato dal sapore della nuova avventura, cercando di non pensare all’ultimo anno passato a Sydney, pieno di momenti..speciali e indimenticabili.

Arrivo.
Arrivo all’aeroporto di Auckland e subito mi incuriosisco sull’alto numero di popolazione maori. Sono abituato all’Australia, dove gli aborigeni quasi non si vedono.
Piccola parentesi politica: è incredibile la differenza tra Australia e Nuova Zelanda in tema di integrazione tra la popolazione indigena e la popolazione di origine inglese. Mentre in Australia si è rivelata una vera è propria catastrofe, in Nuova Zelanda i maori sono (quasi) perfettamente inclusi nella vita quotidiana e gli attriti interculturali sono pressoché assenti.

Ho appuntamento con Sidney, un signore maori per l’appunto, con cui ho pianificato di stare per le prime due settimane a Auckland, nel mentre che sistemo le faccende burocratiche e cerco la mia nuova casa: un van.
L’idea di viaggio, infatti, è quella di comprare un van e viaggiare le isole Nord e Sud per qualche mese, come fa la maggior parte dei
backpacker che arriva in questa terra.
Di Sidney all’aeroporto neanche l’ombra, non risponde ai miei messaggi né alle mie chiamate. Sono le undici di notte, sono stanco pure di pensare quindi compro una sim in aeroporto, prenoto un ostello e chiamo un uber.
Non sapevo se avessi dovuto prendere la metro o meno”, dico all’autista.
Sogghignando mi risponde: – No bro (pronunciato alla neozelandese
nowe browe), qui, non esiste la metro.
Inizio così a capire quanto sia piccola la Nuova Zelanda.
Passo le prime prime notti in ostello per cercare di risolvere alcune faccende burocratiche (apertura del conto bancario etc..).
Primo consiglio: evitate di “risolvere le vostre faccende burocratiche” a ridosso del Natale e Capodanno, siate più intelligenti di me.

Dopo quasi due settimane passate tra ostelli, vecchi e nuovi amici, capodanni bellici e corse tra un ufficio all’altro, compro quella che sarebbe stata la mia casa per i successivi tre mesi: Madonna, un Mitsubishi L300. (Se volete consigli su come e dove acquistare il giusto mezzo
cliccate qui).
Incontro online, e poi dal vivo, Kathrine, una organizzatrice di eventi scozzese, e Guillaume, un fotografo franco-portoghese, con cui ci troviamo benissimo già dai primi minuti passati insieme. Partiamo così all’avventura!

Ecco un mappa dell’itinerario:



Qui invece la galleria immagini: 


In questo articolo mi limiterò a raccontarvi alcuni aneddoti e qualche impressione sul viaggio durato quasi tre mesi.

1. Incidenti e contrattempi con il van;
2. Incontri bizzarri;
3. Campeggiare;
4. La fauna neozelandese;
5. Impressioni di viaggio.

1. Incidenti e contrattempi con Madonna

Fortunatamente non ho avuto grandi incidenti ma solo qualche…incidente di percorso!

Problemi elettrici.

Il primo incidente con il van mi succede nel terzo giorno di viaggio. Nel bel mezzo dell’autostrada, durante un sorpasso, Madonna mi abbandona, in tutti i sensi. Rimango completamente in panne nel bel mezzo dell’autostrada. Metto le quattro frecce e svolto verso un piazzola di sosta. Cerchiamo di fare una prima analisi e capire cosa sia successo ma niente. Spingiamo quindi il van verso il rifornitore li affianco e incontriamo un angelo chiamato Jessy. Una signora Maori che decide di spendere la sua ora di pausa pranzo dal lavoro per rimorchiarci (non in senso lato) in giro per la zona commerciale dove ci troviamo e visitare diversi meccanici e elettricisti. Tutti sono occupati per i successivi tre o quattro giorni. La disperazione aumenta e la pausa pranzo di Jessy finisce, la quale, andandosene, ci dice: tranquilli, probabilmente sarà qualche fusibile. Rimaniamo nel garage di un elettricista per un’altra oretta e come per magia il van riprende a funzionare. Nessuno ha idea di cosa sia (scopriamo poi in seguito che si trattava di un fusibile mal funzionante!). Passiamo i successivi tre o quattro giorni a guidare con la paura che Madonna ci abbandoni nuovamente nel mezzo del niente e ci rendiamo conto che qualcosa non va con il sistema elettrico: la radio emette qualche lucina e poi smette di funzionare. Per sempre.
Morale della favola: fidatevi delle donne maori se i meccanici non son disponibili.

Cunetta.

Sempre nel Nordland, nella Waipoua Kauri Forest, mentre ci dirigiamo verso un campeggio nel mezzo della foresta, ci ritroviamo in una strada sterrata abbastanza tortuosa alla ricerca di un piccolo sentiero escursionistico. Mi accorgo di averlo passato, quindi mi fermo e faccio retromarcia. Dopo due secondi sento un colpo e perdo il controllo del van. Con occhi sbarrati e volto preoccupato guardo in faccio Guillaume e scrollo la testa come per dire “no, non è successo, vero?”. Lui senza professare parola annuisce. Esco fuori per capire meglio cosa sia successo e vedo la parte posteriore del van completamente appoggiata sul muro e le ruote posteriori nel vuoto della cunetta. 
Non capisco minimamente come sia potuto succedere!
Ripartire è impossibile. Per fortuna dopo qualche minuto passano due ragazze tedesche a cui spieghiamo la situazione e ci offrono di tirarci fuori dal baratro. Veniamo rimorchiati per la seconda volta nel giro di una settimana, anche questa volta solo in senso letterale.

Ruota micro forata.
A Raglan, una cittadina di surfisti nella costa ovest dell’isola del nord, dove rimaniamo per cinque giorni, mi accorgo che la ruota posteriore di destra è leggermente sgonfia. Vista la mia conoscenza quasi pari a zero riguardo macchine e motori, non penso minimamente all’esistenza delle micro forature e, visto che i giorni successivi lo pneumatico non si sgonfia più di tanto, decido di gonfiarlo ogni tanto come soluzione al problema. Quando poi arriviamo all’Abel Tasman, nell’isola del Sud, spendiamo l’intera giornata a fare trekking e al nostro rientro – immaginate un po’ – ritroviamo la ruota posteriore di destra completamente a terra. È un tardo pomeriggio di domenica. I benzinai e i meccanici son tutti chiusi. Scopriamo di avere la ruota di scorta ma manca un pezzo del cric per sollevare la macchina. Cerchiamo aiuto in un campeggio e un signore di una certa età con già qualche bicchiere di vino in corpo, ci aiuta a cambiare la ruota di scorta.
Morale della favola: fidatevi dei signori di una certa età brilli.

2. Incontri bizzarri

Durante qualsiasi viaggio capita di incontrare delle persone interessanti e di vivere dei momenti unici che a volte ti insegnano qualcosa, altre volte rimangono dei meri aneddoti di viaggio da raccontare agli amici.
Ve ne racconto tre.

La nostra prima Haka.
Il primo incontro indimenticabile avviene a Cape Reinga, sempre nel Nordland. Più precisamente nel campeggio del DOC (Departement of Conservation) a Tapotupotu Beach non lontano da Cape Reinga.

Il faro di Cape Reinga. La calma PRIMA della tempesta.

Ammirare il tramonto dal faro di Cape Reinga è senza dubbio una delle esperienze da fare in Nuova Zelanda. Decidiamo quindi di vivere quest’esperienza unica e rimaniamo al faro fino a che non diventa buio. Ci dirigiamo poi al campeggio per una cena veloce. Non vediamo l’ora di andare a dormire dato che siamo reduci da una giornata intera passata a guidare e fare trekking.
Il campeggio è al buio. Sono quasi le dieci di sera e quasi tutti i campeggiatori già dormono. Stiamo per impiattare la pasta quando dalle nostre spalle arriva un’ombra che ogni tanto produce qualche rumore indefinito. Capiamo subito che si tratta di un tizio ubriaco, di una certa stazza, che a stento riesce a stare in piedi e cerca di comunicare con noi sbiascicando parole a vanvera. Non gli diamo troppa importanza perché è praticamente impossibile comunicarci. Una volta che la pasta è sui piatti, il tizio si inchina sul tavolo e ne prende uno. “No brother”, è la nostra reazione. “Non funziona così, mi dispiace”, gli diciamo. Magicamente la sbornia sembra scomparire e le sue abilita oratorie ritornano in auge. Inizia così a sproloquiare ad alta voce e a minacciarci: “maledetti backpackers, noi vi trattiamo bene e voi  mi trattate così? Non vi vogliamo qui, andatevene. Vi do venti minuti per andarvene altrimenti vi spacco tutto”. Preso da un istinto bellico-nazionalista si piazza davanti a noi e inizia a cantare e ballare l’haka a squarciagola. Non sappiamo bene come reagire: ridiamo o iniziamo a preoccuparci?
Ad un certo punto vediamo un gruppo di luci comparire nel buio e dirigersi verso di noi. L’energumeno capisce che è ora di andare via. Un gruppo di neozelandesi, molti dei quali maori, ci approcciano e ci chiedono scusa! Il gruppo poi si divide e alcuni di loro vanno a cercare l’ubriacone che cammina per il campeggio in cerca di guai: “tranquilli ce ne occupiamo noi, andate a dormire tranquilli, godetevi le vostre vacanze e sappiate che siete i benvenuti! Scusate ancora”, si congedano.
L’Haka dal vivo? Un’esperienza unica, credetemi.

Ma non finisce qui. Siamo pronti per andare a letto quando ci accorgiamo che durante il trambusto ci siamo dimenticati il van e la tenda aperti. Il secondo incontro bizzarro della giornata lo abbiamo con le zanzare. Siamo invasi. E non esagero. Passiamo più di un’ora cercando un rimedio per riuscire a non svegliarci il giorno dopo con il corpo tumefatto.
È una moria di zanzare.

HelpX con famiglia hippie.
Quando ci avviciniamo al Tongariro Alpine Crossing, un trekking famoso che attraversa paesaggi mozzafiato tra laghi turchesi e vulcani semi-attivi, notiamo che le previsioni per il resto della settimana non sono delle migliori. Abbiamo tempo a disposizione e vogliamo fare l’attraversata con il bel tempo, quindi decidiamo di fare un po’ di HelpX (lavoro in cambio di vitto e alloggio) in attesa del sole.
Arriviamo a casa di M e M (per la privacy) e i suoi due nipotini. Situazione famigliare complicata, come direbbe Faccialibro. Situazione a livello di igiene e organizzazione generale della loro casa e della loro vita ancora più complicata, direi io.
Entrambi sono delle splendide persone, gentili e generosi nonostante la loro situazione economica piuttosto critica. Entrambi figli della beat generation e figli dei fiori. Entrambi una sessantina di anni, reduci di anni di viaggi on the road per il mondo, feste, droghe, sesso e rock ‘n roll.
Il primo approccio è piuttosto impattante, viste le condizioni della casa. Ci rendiamo poi conto che in quel trambusto tutto ha un senso, più o meno.
Il giardino è un ammasso di rottami vecchi, giocattoli e vestiti sparsi qua è la e attrezzi da lavoro arrugginiti. C’è anche un auto abbandonata, un forno a pozzo dove affumicano la carne, un paio di lavatrici non funzionanti e udite udite, un carrozza di un treno. Anni fa la volevano probabilmente convertire in un ambiente abitabile ma, come d’altronde qualsiasi cosa in quella casa, il progetto non è mai stato portato a termine. L’attrazione principale del giardino, però, sono le sculture dell’uomo di casa. Di professione fa il taglialegna ma, un po’ per hobby e un po’ per arrotondare, M si cimenta nella costruzione di sculture di legno che intaglia con una motosega gigante. La sua salute è piuttosto instabile e cagionevole. Da anni convive con un’ernia scrotale che ormai sembra quasi una terza gamba. La sua peculiarità è la risata. Quando M ride lo si può sentire dalla strada. La sua risata sembra quella di un orco delle fiabe, potente, rumorosa e spesso accompagnata da tosse. È una risata a volte agghiacciante, ecco.

M, la sua compagna, è un’ottima cuoca. Le condizioni igieniche in cui cucina sono opinabili, ma noi cerchiamo di non pensarci e ci concentriamo nel sapore delle verdure provenienti direttamente dal giardino e la pancetta comprata dal vicino. È sempre on the move, sempre attiva a fare qualcosa ma è difficile capire la funzionalità di quello che fa. È una donna piena di idee e aperta al dialogo. Nonostante alcuni comportamenti e scelte di vita bizzarre, è una donna paradossalmente bilanciata che ha sicuramente trovato il proprio equilibrio.

Entrambi i bambini, un maschio e una femmina, hanno dei nomi inventati. Scorrazzano tutto il tempo come mamma li ha fatti per il giardino. Mangiano con le mani e si sbrodolano tutto addosso. Fanno la pipi in piedi un po’ dove capita appena ne sentono la necessità. Ciononostante sono rispettosi e, soprattutto, sono felicissimi.

Non abbiamo ben chiaro quale sia il nostro compito. Lavoriamo qualche oretta al giorno ma non facciamo altro che spostare legna e cianfrusaglie varie da un angolo all’altro. Non capiamo bene il senso di tutti questi spostamenti ma continuiamo a farlo per il resto della settimana. Passiamo il resto delle ore a giocare con i bambini, a fare passeggiate nei boschi con il cane, fare bbq in riva al fiume, chiacchierare e sorseggiare vino.

Il nostro bagno



In casa non c’è il frigo, tutto viene consumato nel giro di pochi giorni. La maggior parte dei mobili sono pezzi ricavati da altri mobili o creati con avanzi di legna. Tutte le stanze sono coloratissime e i muri sono coperte da fantasie varie, quasi tutte richiamano gli anni sessanta. Il caos e il disordine regna perenne, ovunque.

Ci capita spesso di commentare questo stile di vita, ma la risposta è sempre la stessa: in questa casa regna la felicità, quindi perché no?!

 

Io che aspetto che Katherine guarisca mentre si “riposa” nell’AirBnb.

 

Entrare in un AirBnb dalla finestra
Una volta arrivati a New Plymouth, nella costa est dell’isola del Nord, Kathrine, la mia compagna di viaggio, non si sente bene, quindi decide di prenotare un AirBnb per rilassarsi un paio di giorni. Arriviamo in una casa piuttosto vecchia dove le porte e le finestre sono tutte chiuse e del proprietario nessuna traccia. Cerchiamo di metterci in contatto con lui e solo dopo una lunga attesa riusciamo a sentirlo per telefono. Ci fa sapere che non è in città e sperava che il suo coinquilino sarebbe stato in casa.
Mentre parlo al telefono cammino attorno alla casa e mi rendo conto che la piccola finestra della cucina è semi-aperta. In un secondo mi rivengono in mente tutte le volte che per un motivo o per l’altro, anni fa, rientravo a casa in tarda notte e dovevo arrampicarmi nel canale di scolo e entrare in casa attraverso la finestra della stanza di mia madre. Per fortuna non ho mai perso quest’abilità. Chiedo quindi al proprietario se per lui è un problema. “No fai pure”, mi risponde. Nel giro di qualche minuto Kathrine riesce finalmente ad avere un letto dove riposare.
La serietà!

3. Campeggiare

A dir la verità non ho campeggiato tanto in Nuova Zelanda. Ho usato la tenda solo qualche volta.
Qui, a meno che non si vada a fare qualche trekking di più giorni, o si stia viaggiando con un budget molto limitato, si dorme in macchina, o in van.
Ho già parlato di app come WikiCamps e CamperMate in altri articoli; sono praticamente delle app che ti aiutano a trovare tutti i posti dove poter campeggiare, gratuitamente o a pagamento. Sono la bibbia dei backackers e sono lo strumento più funzionale che possiate avere mentre viaggiate. Funzionano con il GPS e praticamente spesso ci si trova a organizzare il viaggio solo ed esclusivamente in base ai campeggi (gratuiti) disponibili.
Alcuni di questi posti sono appartati e, se vogliamo, romantici. Alcuni sono piccoli, con quattro o cinque posti e per accaparrarveli, ovviamente, dovete arrivare presto.

I campeggi con vista romantica. In questo caso il Mt Cook visto dalla costa occidentale, vicino al Franz Josef.

Altri, invece, sono letteralmente inondanti di ragazzini tedeschi in anno sabbatico usciti per la prima volta dalla Germania o di francesi che viaggiano in coppia oppure in gruppi di venti. È qui che si vedono le persone più strambe e le situazioni più assurde. Della serie “ho visto che voi umani…”
Le cose peggiori si vedono nell’ambito culinario. Ho visto “passte alla carbonara” fatte con pasta e uovo (senz’altro, senza pancetta, intendo), l’immancabile pasta con ketchup, paste rovesciate in terra etc.

Sarà che sto diventando vecchio e in queste situazioni mi son trovato già parecchie volte, ma molto spesso son scene deprecabili. In più, le conversazioni son sempre basate sul “where are you from, how old are you, how long have you been travelling for? Bla bla bla” – che palle.

Ovviamente si fanno anche degli incontri interessanti, non voglio generalizzare. Si incontrano persone di tutto il mondo e a volte si condividono interessanti conversazioni, cene e alcool. Altre volte, invece, si incontrano ubriaconi che ti ballano l’Haka per esempio!

Il campeggio da backpacker? Un’esperienza da fare almeno una volta nella vita.

4. La fauna neozelandese

TeTuatahianui.jpgIl Kiwi non lo vedrete, ecco. Iniziamo da questo presupposto. Il kiwi è l’animale più famoso della Nuova Zelanda ma praticamente è quasi impossibile da vedere in natura, non solo perché è un’animale notturno e esce a cibarsi solo di notte, ma è un animale molto timido, nonché in via di estinzione. Se volete avere la certezza di vedere dei Kiwi che non siano in cattività direi che uno dei pochi posti si trovi nel profondo Sud, a Steward Island. Li, non hanno predatori e si trovano in numero abbastanza elevato. Altrimenti, se proprio non avete pazienza e/o tempo, potete andare a visitarli in qualche centro di conservazione o birdpark (per esempio a Rotorua o Queenstown).
Consiglio: se decidete di fare della camminate notturne dove pensate ci siano dei kiwi, usate una torcia con led rosso!

Al contrario, come vi immaginerete, vedrete una sacco di pecore. Si dice che in Nuova Zelanda ci siano qualcosa come sessanta milioni di pecore. Praticamente, essendoci tre milioni di abitanti, ci son venti volte più pecore che persone. La più comune è la pecora Merino, con la quale i neozelandesi fanno i milioni esportandola all’estero, soprattutto in estremo oriente.

Pecore ovunque

I Weka passeggiano indisturbati ovunque.

Il weka si assomiglia al kiwi ma, a differenza di quest’ultimi, sono numerosi e piuttosto fastidiosi. Sono leggermente più grandi, più veloci (anche loro fanno parte di quella categoria di uccelli senza ali, poracci) e sono sempre alla ricerca di cibo. Se campeggiate, li incontrerete sicuramente. Mettete al sicuro il cibo!

Il kea, è un pappagallo di montagna gigante. Unico al mondo. Anche lui sempre in cerca di cibo e non si lascia intimidire dall’essere umano. Anche lui in pericolo di estinzione. Nonostante ciò, però, lo troverete in diversi posti, soprattutto vicino Queenstown e il Fiordland National Park (Milford Sound), nell’isola del Sud. È ufficialmente l’uccello più intelligente al mondo e, per qualche strano motivo, attratto dalla giunture di plastica della tua macchina!

Un kea alla ricerca di gomma da masticare.

Sempre in tema di uccelli, l’uccello simbolo della Nuova Zelanda è il Tui, tanto che gli hanno dedicato il nome di una delle birre nazionali. Li vedrete ovunque e sono riconoscibili facilmente grazie al loro piumaggio fatto di diverse sfumature di blu e viola e il loro inconfondibile ciuffo bianco nel petto. La peculiarità di questo uccello? Sa imitare alla perfezione la voce umana!

Ci sono altri animali nativi come il pukeko, un bellissimo volatile di grandi dimensioni che abita molte paludi del Paese (si può vedere nel lago Matheson), anche lui con un piumaggio coloratissimo e il becco rosso.

La tuatura, invece, è un rettile che assomiglia a una lucertola gigante ma è sorprendentemente un antenato diretto dei dinosauri e la sua natura è cambiata ben poco nel corso di milioni di anni! Ovviamente, anche lei, come la maggior parte degli animali autoctoni neozelandesi è in pericolo di estinzione. Io purtroppo non ho avuto la fortuna di incontrarla.

In Nuova Zelanda esistono addirittura tre tipi diversi di pinguini: il pinguino minore blu, il pinguino più piccolo al mondo, il pinguino occhigialli e il pinguino del Fiordland. Sta diventando sempre più difficile vederli dal vivo, ma non impossibile. I migliori posti per osservare i pinguini sono: la Banks Peninsula, giusto fuori Christchurch, a Oamaru e Timaru, un poco più a Sud di Christchurch, a Dunedin, nella Stewart Island e nei Catlins, nel profondo Sud.

Potete addirittura avvistare diversi tipi di balene e delfini a Kaikoura, famosa destinazione turistica. Qui, e non solo, potete avvistare anche foche e leoni marini. Questi ultimi è possibile incontrarli in molto altri posti: Milford Sound, Tauranga, Caitlins, Cape Palliser (vicino Wellington), Wharariki Beach e Fairwell Spit nell’Abel Tasman National Park, Malborough Sounds e Nugget Point.

Mamma foca e il suo cucciolo a Cape Palliser, a Est di Wellington.



5. Impressioni di viaggio

Potrei continuare a parlare della fauna e della flora neozelandese, della sua storia – relativamente breve tra l’altro – e della sua cultura, ma sono informazioni che potete trovare in qualsiasi blog o guida di viaggi.
Preferisco parlarvi, invece, della sua popolazione e di quello che ho imparato in questi tre mesi di viaggio e durante la mia successiva permanenza.
La prima cosa che ho notato dei neozelandesi è la loro natura “laid-back” e “easy-going”. Questi due termini si sentono spesso in Australia e in Nuova Zelanda, significano rispettivamente “rilassati” e “alla mano/in gamba”, e si addicono alla maggior parte della popolazione dell’Australasia. La gente va avanti a suon di “no worries, everything is gonna be all right”, come diceva il gran Bob, con l’unica differenza che loro non vanno in giro fatti come delle pere dalla mattina alla sera (o per lo meno non tutti). Qui la gente è rilassata. Non sembra esistere lo stress da città. La gente si rispetta, è gentile, soprattutto con gli sconosciuti, gli stranieri.
Gli attacchi terroristici a Christchurch hanno segnato molto questo Paese, poiché qui non esiste – o per lo meno non sembrava esistere – l’intolleranza verso il diverso.
Una volta ero a cena con degli amici e dopo non molto tempo i vicini di tavolo hanno attaccato bottone e abbiamo inevitabilmente iniziato a parlare di quanto successo nella moschea. “Siamo sconvolti”, ci dice, “la Nuova Zelanda è nata e cresciuta attraverso processi migratori, qui neanche si discute sul fatto di essere bianchi, neri, gialli, indiani, cinesi, cristiani, musulmani, gay e etero. Le differenze si son date sempre per scontato e le abbiamo sempre accettate.”
In Nuova Zelanda non si respira aria di intolleranza e superiorità, come in molti altri Paesi “sviluppati” (tra virgolette perché trovo che sia un termine controverso, che bisogna usare con cautela). Mi è sempre sembrato che qui il diverso sia sempre stato considerato motivo di crescita e di miglioramento. Nei giornali quasi mai si sente parlare di casi di razzismo, omofobia o sessismo. Ovviamente non sto dicendo che qui non esistano questi problemi. Esistono eccome, ma sono sempre casi sporadici e sicuramente non un problema nazionale.

Molto probabilmente, il fatto che la cultura neozelandese sia così
easy-going e rispettosa dipende dal suo background multiculturale e dalla sua storia non di certo millenaria; la Nuova Zelanda è una terra nuova. Ma oltre a questo, son convinto che dipenda anche dalla intensa connessione che si ha con la natura, grazie soprattutto alla cultura Maori.
Questi si insediarono nella Terra di Mezzo intorno al 1280. Se ci pensate non è poi così tempo! Arrivarono dalle isole polinesiane con le
waka, le tipiche canoe maori, quando ancora non abitava nessuno, invasero la Nuova Zelanda e si stanziarono qui fino a che, secoli dopo, non arrivarono gli Europei a invadere gli invasori.
La cultura Maori è basata principalmente su leggende tramandante oralmente. Tutte hanno una connessione con la natura e tutti gli elementi, terra, acqua, aria e fuoco, vengono costantemente nominati. La popolazione Maori è legata spiritualmente, emozionalmente e fisicamente con la natura e, di conseguenza, tutte le genti stanziatesi qui in seguito hanno seguito la stessa tradizione.
Secondo recenti statistiche fatte dal DOC (
Department of Conservation) l’85% dei neozelandesi sostiene che connettersi alla natura migliora la propria vita e viene dato un punteggio di 9.1 su 10 all’importanza dell’ambiente naturale circostante.
I neozelandesi credono sempre più che la natura sia fatta per essere vissuta e non conquistata fisicamente, ma la connessione spirituale è talmente profonda che gli da un senso di proprietà. Ed è proprio così: i kiwi adorano la propria terra e la sentono loro. È raro incontrare un neozelandese che il fine settimana non vada a fare trekking, a campeggiare, fare kayak, immersioni o semplicemente un bbq in riva al lago o fiume.
In sostanza, credo che la maggior parte della popolazione qui sia felice anche grazie alla loro vita da “
outdoorsy” (termine che indica une persona che ama fare attività all’aria aperta).
E forse è anche per questo che un viaggio di tre mesi, che doveva finire con una stagione lavorativa stagionale, è diventato una permanenza praticamente a tempo indeterminato.

Se siete amanti della natura e volete viaggiare – o, perché no, vivere – in uno dei posti più sicuri che esistano al mondo (ci credete che io non ho mai posseduto le chiavi di casa? Quasi nessuno, per lo meno nella città dove vivo io, Queenstown, chiude a chiave la porta) la Nuova Zelanda è sicuramente quello che fa per voi!
Eccovene un assaggio: