Terminata la prima grande tappa thailandese da Phuket a Bangkok. 850 km, 15 giorni, passando per le zone più remote della Thailandia meridionale ed evitando, quasi sempre, le strade principali.
Alla via più veloce e più sicura abbiamo preferito le foreste e i piccoli villaggi. Abbiamo percorso strade sterrate, non sapendo bene dove stessimo andando. L’importante è avere il mare sempre a destra, questa era la regola. Abbiamo chiesto ospitalità a delle piccole famiglie che vivevano nelle classiche e modeste abitazioni tailandesi, abbiamo incrociato allevatori alle prese con le loro bestie, osservato gli agricoltori che si prendevano cura del loro campo e altri che si crogiolavano al sole sopra un’amaca tutta rattoppata.
Abbiamo visto degli uomini prendere le noci di cocco con delle scimmie al guinzaglio ammaestrate, anziani che aprivano poi le noci con le loro mani. Ci siamo fermati a comprare dai venditori ambulanti che vendevano manicaretti e frutta locale freschissima e super saporita coltivata lì a un paio di metri: durian, jackfruit, longan, mangostani, litchi, mango, banane, passion fruit, ananas, angurie (anche una varietà con la polpa gialla) e tanti altri di cui non conosco neanche il nome. Le papaie, invece, le abbiamo rubate direttamente dagli alberi.
Abbiamo visto le famiglie di pescatori che con cura mettevano a essiccare al sole il pesce appena pescato, attraversato dei parchi nazionali che ci hanno regalato tramonti spettacolari, dormito con una comunità di buddisti, in riva a un fiume, in mezzo alla foresta di banane, nei bungalow tipici thailandesi e in tenda sulla spiaggia, a due passi dall’acqua.
Abbiamo tenuto un ritmo molto lento, gustandoci ogni piccolo dettaglio, le persone anziane che ci guardavano spaesate, i bambini che ci salutavano e ci inseguivano con gli scooter, le donne che ci sorridevano, i cani che ci rincorrevano in branco e le zanzare che la sera, puntuali, ci divoravano prima che facessimo in tempo a metterci lo spray.
Che colori e che profumi. Il profumo dolce e mistico degli incensi dati in dono alle divinità si confondeva con l’odore forte di shampoo proveniente dai capelli al vento delle ragazze che ti superavano in scooter. Senza casco, ovviamente. L’odore putrido dei Durian messi ad essiccare al sole si mischiava al rancido degli alberi che emanavano un odore simile alla citronella. Il forte ma piacevole odore di pesce al sole copriva l’odore salmastro del mare.
La comunicazione. Inesistente, ahinoi. In due settimane abbiamo avuto a che fare con tre persone che conoscevano un paio di parole di inglese, per il resto del tempo la nostra comunicazione era a dir poco primordiale. Chicchirichi, muuu, oink oink NO! Voleva dire “qualcosa di vegetariano per favore” (un concetto complicatissimo qui, a quanto pare sono più confidenti con i vegani!). Mani giunte sulla guancia e poi messe a triangolo per indicare il tetto di una casa voleva dire “possiamo campeggiare qui?”. “Andrea, Violette e indice puntato verso l’interlocutore stava per “come ti chiami?”. Insomma, la comunicazione era difficile, anche per esprimere i concetti basilari.
Dopo un paio di giorni ci siamo fatti tradurre un frasario che mostravamo orgogliosi nei momenti di bisogno. Cercare di pronunciare l’intera frase era inutile visto che il thai, essendo una lingua tonale, non è facile da pronunciare. E visto che di solito interloquivamo nei momenti del bisogno, non volevamo creare strane incomprensioni.
Dio, o chi per lui, benedica Google Translator!
Pedalare nella maggior parte delle strade tailandesi è semplice e piacevole, a differenza dell’Australia, per esempio, c’è sempre una corsia abbastanza larga dedicata alle moto e alle biciclette. Nessun roadtrain che ti spazza via dalle strade, nessuno slalom tra cadaveri di canguri.
Man mano che ci avvicinavamo a Bangkok il traffico, insieme al vento in faccia, si faceva sempre più fastidioso, per questo decidiao di farci gli ultimi cento chilometri in treno. Un treno simile alle littorine degli anni ’50 presenti in Sardegna. Nella stazione dove l’abbiamo preso, a Cha Am, si usava ancora il telegrafo! Nessuno ovviamente parlava inglese e il biglietto ci è costato poco meno di tre euro.
Il viaggio è stato molto piacevole.
E ora eccoci qui a Bangkok. Niente più pescatori solitari ma autisti di tuk tuk che ti chiedono se ti serve un passaggio nonostante tua sia sopra la tua bicicletta. Niente più odore di incensi ma di smog e macchine che ti smarmittano in faccia. Niente più villaggi con poche persone ma orde di gente che spintona per andare a visitare il Gran Palace. Niente più templi immersi nel silenzio ma templi straccolmi di asiatici che smanettano con macchine fotografiche e telefonini. Niente più buoi e galli che scorrazzano per le strade ma solo grosse pantegane che sbucano dalle fogne. Nessuna capanna ma solo cememento e grossi cartelloni pubblicitari.
Bangkok è affascinante nonostante tutto. Tanta storia, architettura, offerta culturale e buona cucina. Multiculturale al punto giusto.
Ma non è proprio il posto che fa per me in questo momento, quindi, udite udite, vado in un villaggio a circa 260 km da qui, a insegnare inglese ai bambini di una scuola che non si può permettere di pagare un insegnante. Non so per quanto tempo…ma stay tuned, che vi farò sapere.
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