Sei pronto/a? Stai per essere trasportato/a in un viaggio in India attraverso i miei occhi.
Disclaimer: niente di ciò che leggerai è frutto della mia immaginazione.
Travelblog di un globetrotter
Sei pronto/a? Stai per essere trasportato/a in un viaggio in India attraverso i miei occhi.
Disclaimer: niente di ciò che leggerai è frutto della mia immaginazione.
..segue da qui..
A partire dalle sei del pomeriggio tutto cambia e la baia acquisisce un qualcosa di magico.
Al tramonto il cielo si dipinge di colori indescrivibili a parole. Il cielo si infiamma e tutti lo ammirano in silenzio. Tutti seduti sul porticciolo, che sembra quasi la via d’accesso al paradiso.
Per terra sbucano conchiglie con dentro i molluschi che corrono da una parte all’altra e nell’aria c’è una leggera brezza che trasporta l’odore di bbq e di pesce alla griglia.
Gli esseri umani che vivono o mettono piede in questa baia, sono un altro aspetto interessante di questo piccolo micro-mondo.
Ci sono i cambogiani di passaggio che, come ho già detto, vengono rincorsi dai cani razzisti per tutta la spiaggia fino a che non spariscono. Spesso si stendono nelle nostre amache non curanti dei nostri sguardi alla “scusi, questo sarebbe il nostro resort”.
Con i colleghi cambogiani si comunica attraverso l’uso di una sorta di esperanto composto da 10 parole in inglese e 10 parole in khmer (o simili) e tanti, tantissimi gesti – ognuno diventa un mimo pro dopo alcune settimane. È stata una bella sorpresa scoprire quante piacevoli e esilaranti conversazioni si possono avere con un repertorio linguistico così limitato.
La comunicazione diventa ancora più fluida quando si ingurgita qualche bicchiere di birra (o whiskey cambogiano da due dollari a bottiglia) in più. E questo succede praticamente un giorno si e l’altro pure. In queste serate può succedere di tutto. A volte vedi Kie, il nuovo capitano, che corre in mutande verso il porto. Così, senza motivo. Altre volte vedi un altro collega che rincorre una mucca con una fionda in mano. Wansi, il piccolo della famiglia, che gioca sopra una barca di polistirolo nel laghetto melmoso dietro il resort, le cuoche che dormo nel ristorante distese per terra, i clienti giapponesi che mentre si fanno il bagno utilizzano le giacchette di sicurezza come vassoio galleggiante per sostenere le birre, e tante, tantissime altre scene che a volte ti fanno pensare di essere parte di un fumetto di Topolino.
Qui, il concetto spazio temporale è alterato da una serie di eventi simil-paranormali.
La gente dorme per dodici ore consecutive, si fa delle grosse risate – contagiando tutti – senza nessun apparente motivo. Pur avendo la possibilità di svolgere diverse attività, la gente rimane per settimane e settimane qui, senza mai muoversi, a sorseggiare deliziosi caffè khmer, distesi sull’amaca, a sonicchiare e ammirare il mare e Koh Koun, l’isolotto selvaggio qui davanti – dove quasi nessuno vuol mettere piede visto che si pensa essere maledetto. Sembra interessante il paesello lì in fondo. Chiedono le persone. Mmh, sí, credo di si, non ci son mai stato. Rispondono i clienti o volontari che stanno qui da settimane.
Durante la stagione delle piogge, spesso arrivano dei grandi acquazzoni, ma che non annullano il fascino dell’intera baia. La gente continua a stare distesa nelle amache ad ammirare il mare e Koh Koun.
Sì, tutto è molto bello, ma si può sapere cosa stai facendo in quest’isola e come passi le giornate?
Se è questo che vi ronza per la testa..beh ecco qui una mia giornata tipica.*
Mi sveglio le mattine con il suono del mare, appena sento che il bungalow inizia a riscaldarsi. Vado a fare colazione a base di uova fritte, pancetta e caffè cambogiano. A volte, invece, mi basta un pancake con banana e nutella. Poi mi dirigo verso la reception e aspetto i clienti che arrivano dalla prima barca, intorno alle dieci. Li accolgo a petto nudo, con una sigaretta in bocca al sapore di tabacco cambogiano ammuffito. Mi risiedo nel mio sgabello dietro la reception e osservo il sole che passa da una parte all’altra dell’isola, per l’intera giornata. A volte mi verso un cocktail, a volte mi fumo un’altra sigaretta oppure vado a correre al tramonto, o leggo, o faccio finto yoga sul ponticciolo. Ci sono volte che mi alzo, mi tolgo la maglietta e corro verso la spiaggia, poi mi tuffo, facendo attenzione alle stelle marine appuntite.
Altre volte passo le giornate con Wansi, gli insegno a nuotare, facciamo i salti in acqua, giochiamo ad acchiapparello, gli metto due cerotti nei piedi per curare le sue ferite pressoché invisibili, poi lo porto in braccio a letto appena lui mi dice “Andrea sleep” e mi da un bacio sul braccio. E i miei istinti paterni sono più che soddisfatti.
Ci son delle volte invece che mi sdraio in un’amaca o mi siedo sull’altalena appesa su un albero, e osservo l’orizzonte per ore.
Ogni tanto vado al villaggio, compro qualche manicaretto, faccio lo slalom tra i bambini nudi che giocano con il fango e vado a bermi un cocktail e ammirare il tramonto da un’altra prospettiva. Un giorno son rimasto al villaggio tutta la notte e ho festeggiato il capodanno cambogiano con i locali. Son rientrato alle quattro abbracciato a un vecchio ubriacone, ridendo come vecchi amici nonostante nessuno dei due capisse quello che diceva l’altro.
A volte taglio i capelli, costruisco delle passerelle in pietra, aggiusto le capanne, raccolgo le foglie, faccio i massaggi dietro offerta, sto al bar a fare cocktail e al ristorante a servire. Tutto in una giornata. Altre volte andiamo a farci lunghe passeggiate ecologiche per la spiaggia (ossia andiamo a raccogliere monnezza).
Da quando sono arrivato non ho più usato un paio di scarpe e i miei piedi son duri come quelli di un cinghiale. In valigia ho solo un paio di magliette e qualche pantaloncino, che lavo a mano una volta alla settimana.
Poi le sere, tutti intorno alla reception, giochiamo a jenga o a carte, e facendo due chiacchiere scoliamo un paio di birre sbellicandoci dalle risate.
Alcune notti andiamo a fare il bagno – spesso nudi – sotto un cielo stellatissimo e immersi nell’acqua illuminata dai plancton. Vi immaginate? L’acqua si illumina appena ci si immerge!
Poi la mattina successiva mi sveglio con il suono del mare, appena sento che il bungalow inizia a riscaldarsi. Vado a fare colazione…
Ma l’attività che mi piace di più è il diving – le immersioni. Già, perché nel frattempo, oltre che ammirare il tramonto, Ko Kuong e i vari animaletti, sorseggiando un cocktail ciondolando nell’amaca, son diventato il manager e il dive master del resort. Quasi ogni giorno porto i clienti a immergersi nelle acque calde che circondano la baia.
Il mondo lì sotto è incredibile, dove il tempo rallenta e gli spazi spariscono, tutto sembra immenso, infinito. Lì sotto ti senti perso ma al riparo. Tranquillo ma eccitato. Ti senti in un altro mondo.
E io adoro passare da un mondo all’altro, giocare e sentirmi bene. E sembra quasi impossibile stancarsi di questi mondi.
* tratto e rivisitato da un’intervista, che potete trovare qui
Che titolo banale, penserete. Ma è successo proprio così. E quando dico “è successo”, intendo che è successo veramente, nel senso letterale della parola. Quasi per caso, senza programmarlo.
“Nel resort non c’è elettricità né wi-fi”. Mi dissero nell’ufficio.
Sì, lo voglio, pensai. Proprio quello di cui avevo bisogno.
Io stavo scappando da tutti i flash dei cinesini che presi da un attacco di esasperazione, con il dito impazzito, sparaflesciavano i templi di Ankor Wat e dintorni, dai tuk tuk driver che ti rincorrevano per venderti funghi allucinogeni, marijuana, cocaina, Viagra, prostitute e, per finire, servizio taxi. Stavo scappando, dal caldo infernale, dalle strade polverose, dalle stazioni dei bus che caricavano e scaricavano orde di backpackers come bestiame in vendita. Scappavo dagli inglesotti dal pelo ginger che con la canottiera del Sakura Bar (un locale di Van Vien, in Laos, dove i backpackers vanno a distruggersi i neuroni in cambio di una di queste canottiere) che ti distribuivano volantini per il prossimo full moon/rave party – ovviamente a base di funghi allucinogeni, marijuana, cocaina e così via. Scappavo dagli scooter impazziti, dagli effetti collaterali delle Happy Pizza (non mi sembra il caso di spiegarvi cosa siano). Dalle giornate di full immersion depression nei campi di sterminio e nelle prigioni di Phnom Phen, dalle signorine che strillavano nei karoke dei locali del centro. Scappavo dal dolore alle ginocchia che ormai era diventato un compagno di viaggio.
Scappavo da tutto questo. Ma non fraintendetemi. Amo la Cambogia, sul serio!
Decisi di concedermi un periodo di relax, al di fuori di tutto ciò, quindi presi il traghetto per dirigermi a Koh Rong Sanloem, al largo di Sihanoukville. Un’isola pacifica, lontana dai circuiti del turismo di massa.
Appena misi piede nel porticciolo sentii che sparirono tutte le energie negative accumulate nelle ultime settimane così come il broncio che ogni tanto faceva capolino sul mio viso. Iniziai a camminare illuminato dai raggi del sole che si rispecchiavano nel bianco del porto, trasmettendomi una sensazione di benessere incredibile.
Decisi di fermarmi un paio di settimane, per rilassarmi e staccare un po’, presso l’EcoSea Resort Dive Center, dove, in cambio di vitto e alloggio, avrei dato una mano un po’ qui un po’ la, prima di proseguire per la prossima tappa: il Vietnam. Almeno questo è ciò che pensavo.
Venni avvolto subito da tutte le energie positive che circondano questo posto: l’acqua cristallina, l’immensa spiaggia, gli animali, il cielo, gli alberi della giungla, le persone. Tutto è circondato da un’aura di benessere che trasmette felicità e tranquillità in ogni momento.
L’acqua a volte è di un’affascinante azzurro chiaro, altre volte si tinge di un bel verde cristallino, altre, invece, quando arriva la pioggia, si colora di un intenso blu. Nei fondali ci sono giganti e carnose stelle marine, arancioni con macchie nere. Seduti nel porticciolo si possono ammirare i pesci tropicali che si divertono sotto di te oppure enormi banchi di barracuda o altri pesci volanti che saltano fuori dall’acqua per decine di metri proprio davanti a te, come se volessero dirti “guarda che belli che siamo, ammiraci”.
Il mare è calmo, calmissimo, silenzioso. Quando arriva la pioggia e il vento invece, si sollevano delle piccole onde, ma che non disturbano la tranquillità data dal silenzio che circonda il mare.
Nella spiaggia ci sono centinaia di molluschi e conchiglie di ogni genere. Alcune notti, invece, arrivano delle grandi mareggiate, e il giorno successivo ci si trova qualsiasi tipo di rifiuti: pannolini, plastica di vario genere, assorbenti, siringhe e reti da pesca. Altre volte si fanno degli incontri inaspettati. Una volta, per esempio, abbiamo trovato un dildo in legno. Un’altra volta, invece, si è spiaggiata una piccola barchetta di polistirolo con dentro un cambogiano ubriaco marcio che, cullato dalle onde del mare, dormiva beatamente.
Altre volte arrivano imbarcazioni private con sposini o immensi gruppi di disinvolti asiatici, che in tempo zero si trovano gli occhi di tutti noi puntati, come per dire “cosa ci fate qui, questa è la nostra casa”.
Due volte al giorno arriva la macchina del futuro, il grande e grosso speed ferry che traghetta orde di turisti dalla terra ferma a Koh Rong, l’isola festaiola a nord. Pochi si fermano qui.
Le sere, poco prima di cena, arriva la supply boat, la barca con tutti i nostri viveri e il ghiaccio per tenerli al fresco, che trasportiamo con un carretto fatto con un paio di vecchie assi e due ruote di motorino. Poi c’è la nostra barca, quella che usiamo per portare i turisti a fare immersioni o escursioni di vario genere. Dentro ci viveva il captain, un anziano signore senza denti che con il suo silenzio e il suo sorriso ammaliava tutti. Poi è andato in pensione, salutandoci tutti dalla barca e con gli occhi lucidi.
A volte arriva qualcuno da M’Pai Bay, l’unico villaggio dell’isola, situato nell’altra sponda della baia. Per il resto non abbiamo tanti contatti con il mondo esterno. A parte il nostro amato smarphone, ovvio.
Poi ci sono gli animali. I “nostri” (nel senso che li cibiamo con gli avanzi) cani fanno da padroni. Un gruppo di una decina di bastardi tutti uguali – a parte Cici, l’ugly scruffy dog – che non fanno altro che godersi il sole per la maggior parte della giornata, ammaliare i clienti con i loro sguardi teneri, giocare a mordersi e farsi male, abbaiare ai cambogiani di passaggio (son seriamente convinto che siano razzisti, visto che abbiano sempre e solo i cambogiani) e rincorrere le mucche. Già, perché intorno alle cinque del pomeriggio, dalla foresta, arrivano le mucche che ci rendono gratuitamente un servizio di tosaerba.
A volte, dei cani che continuano ad abbaiare per spaventarle, se ne fregano beatamente, altre volte, invece, nessuno sa per quale motivo, impazziscono. Allora iniziano a correre, vanno a finire sulle amache che manco a Paperissima si vedono certo scene, o rompono i tubi dell’acqua, oppure vanno in spiaggia a litigare ed ad incornarsi le une con le altre. Una volta son dovuto correre in spiaggia con una mazza da baseball per separarle. Una mucca morta da diversi quintali di chili non è mica semplice da rimuovere dalla spiaggia!
Poi ci sono i pipistrelli, i topolini, le lucertole, le coloratissime farfalle e le enormi falene, i serpenti e gli eserciti di formiche carnivore che ogni tanto fanno capolino nei bungalow o nella reception. Una volta nel bel mezzo di una tormenta un pitone di quasi tre metri ha deciso di cercare riparo proprio sotto il mio letto, alle quattro del mattino. E non se ne voleva andare via, quindi ho deciso di riaddormentarmi (son qui che scrivo, quindi son sopravvissuto).
Un’altra volta Srey Mai, la signora delle pulizie, mi chiama, e con una zappa in mano mi dice “you look”. Zak, in tempo zero da una zappata nel mezzo del fiumiciattolo che scorre affianco al resort e ne tira fuori la testa di una vipera. “Me eat. Chnang” (buono).
Un’altra volta, un signore australiano decide di catturare un altro tipo di vipera e di rilasciarla subito dopo nel bel mezzo della reception. Dopo qualche ora me la son ritrovata sopra la testa.
Ordinaria routine insomma.
I coinquilini fissi, invece, sono i geki Takó. Una varietà comune dell’Indocina. Grandi a volte quanto un avambraccio, verdi con macchie arancioni o striature blu. Sono ovunque e amano cibarsi degli insetti che svolazzano attratti dalle luci. Più di una volta ci è capitato di fare il tifo mentre rincorrono le falene…che manco gli hooligans inglesi!
Quando cantano, invece, tutti in silenzio. Il loro suono è peculiare (come se dicessero “Taa Koo” per l’appunto) e si dice che portino fortuna.
Di solito cinque canti dovrebbero bastare per avere una giornata relativamente fortunata.
Un altro aspetto dei geki che ho imparato osservandoli, è che gli piace defecare sempre nello stesso punto – non so però quanto vi possa interessare questa informazione.
Quando vediamo tutti i cani della baia correre e abbaiare verso la giungla capiamo che il momento è arrivato: sono arrivate le scimmie! Facciamo appena in tempo ad arrivare all’interno della foresta, vedere due ombre che saltano da un albero all’altro, che le zanzare ci assalgono e ci costringono a ritornare al nostro habitat.
Ecco, le zanzare sono gli altri animaletti simpatici che ci fanno compagnia, a parte quando ci ricopriamo di spry chimici o di zampironi alla citronella.
Uccelli niente. I locali ne vanno matti (o forse si divertono semplicemente a giocare con la fionda) e praticamente tutti gli uccelli della baia finiscono nelle pentole dei colleghi. Grande orrore una volta quando ho visto la cuoca che soddisfatta spennava due tucani meravigliosi!
I colleghi non sprecano proprio niente e spesso rientrano con sorriso compiaciuto e alla mano sacchi pieni di esserini saltellanti: i rospi che popolano l’intera baia.
Per non parlare poi dei chili di pesce che si pescano giornalmente.
Chnag chnang, tutto è chnang, buono.
..segue qui..
© 2023 Andrea Got Lost
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