Tour in Giappone di 18 Giorni: Tokyo > Monte Fuji > Matsumoto > Kanazawa > Takayama > Nara > Kyoto > Osaka > Isola di Tzukushima > Tokyo
(Galleria foto a fine articolo)
Sette mesi. Sette lunghissimi mesi in città. È stata dura ma col capo chino e con il conto in banca che finalmente inizia a gioire, arrivo ad Agosto, mese di ferie e mare per voi in Europa, ma mese di pieno inverno per noi che ci troviamo down under. Ma chi se ne frega, io le ferie me le prendo comunque…e vado in Giappone!
Finalmente riprendo un aereo e vado via.
Arrivo in aeroporto con largo anticipo visti i rigorosi controlli di sicurezza che si stanno facendo in questi giorni, in seguito allo sventato attacco terroristico avvenuto qualche giorno fa a Sydney.
Arrivo al Gate tre ore prima visto che di controlli “rigorosi” non ne vedo manco l’ombra. Una volta imbarcato mi accorgo con stupore che nel bagno dell’aereo la compagnia dispensa gratuitamente rasoi usa e getta. Della serie “non puoi portarti una bottiglia d’acqua ma puoi tranquillamente sgozzare un passeggero con i rasoi che ti diamo a disposizione”.
Con questi pensieri stupidi per la testa ordino un altro bicchiere di vino e entro in una valle di lacrime guardando film drammatici per passare il tempo.
Una volta arrivato all’aeroporto di Tokyo faccio un salto in bagno. Una vocina mi da il benvenuto e la tavoletta del wc si alza da sola. Scopro poi che la tavolozza, una volta abbassata, si riscalda da sola per offrirti il massimo comfort, mentre dalle pareti sbuca una musica rilassante che agevola qualsiasi tipo di evacuazione. Una volta finito perdo due minuti tra tutti i pulsantini che, una volta finiti i doveri, offrono di lavarti le parti intime, dandoti la possibilità di scegliere tra diverse temperature e tipi di getto. Il tutto, come sempre, è accompagnato da delle dettagliate istruzioni (in Giappone esistono istruzioni per qualsiasi cosa).
Esco dall’astronave e mi dirigo verso l’uscita.
All’aeroporto ho appuntamento con Daniele, un mio caro amico con cui ho organizzato questo viaggio. Lo incontro per puro caso all’immigration e ci dirigiamo al nostro capsule hotel.
Pernottare in uno degli hotel di Tokyo dedicati ai businessmen, dove si dorme in delle capsule, è un’esperienza che non volevamo perderci.
Subito iniziamo a notare l’ossessione dei giapponesi per l’ordine e la pulizia. Tutte le aree dell’hotel sono impeccabili, linde e immacolate. I bagni sono provvisti di tutto il necessario, dentifricio e spazzolino, pettine, rasoio, asciugamani, sapone, shampoo, balsamo e cotton fioc, tutto usa e getta.
Consumismo. Il Giappone è un Paese estremamente consumista, sentenziamo subito con il mio amico. Tutto è avvolto, impacchettato e implasticato singolarmente due o tre volte, alla faccia del protocollo di Kyoto e alla eco-sostentabilità.
L’hotel è piccolo, fatto a posta per gente d’affari che arriva, dorme e va via il giorno dopo. Le capsule sono piccole, simili a delle bare, non di certo adatte per chi soffre di claustrofobia. Oltre dormire in una simil-bara, l’esperienza più bella in questo tipo di hotel sono i bagni comuni. Ci si lava tutti insieme, in rigoroso silenzio chiaramente. Ci si siede nella propria postazione, su uno sgabello in plastica, e ci si inizia a sgrassare con un piccolo asciugamano, ci si fa la barba e ci si lava i denti. Poi chi ha tempo e voglia può farsi una seduta di sauna o di idromassaggio.
Affianco alla reception c’è una piccola sala comune dove gli ospiti, vestiti con il pigiamino messo a disposizione dall’hotel, guardano la tv, succhiano ramen e scroccano internet. Sempre in silenzio, chiaramente. La possibilità di crearsi degli amici, o di creare qualsiasi tipo di interazione, è pari a zero.
Notiamo subito come a Tokyo tutto è nuovo, pulito, veloce e funzionale. Tutti i (non)luoghi sono silenziosi. Anche nelle stazioni, per esempio, non si sente parlare e il silenzio è coperto solo dalle vocine degli altoparlanti. In metro nessuno parla. Non si sente neanche il rumore dei bambini strillare visto che, non si sa perché, qui se ne vedono pochi (i pochi che vediamo viaggiano senza genitori!). Le persone dormono, probabilmente affaticate dagli straordinari non pagati. È difficile trovare una persona con scarpe che non siano linde e immacolate o con un abito fuori posto. Tutto è ordinato, al suo posto, bello.
Nelle strade, i pochi senzatetto che si trovano sono ordinati e apparentemente puliti, rinchiusi nelle loro casette di cartone costruite con pazienza e cura dei dettagli. La gente è solitaria, non parla con nessuno e pare evitare il contatto umano. La città è silenziosa e anche qui il silenzio è interrotto solo dai suoni provenienti dai semafori, dai cartelloni pubblicitari o dalle musichette che arrivano dalle centinaia di negozietti di cianfrusaglie varie e oggetti kitsch e inutili. Di tanto in tanto qualche ragazzino strimpella la chitarra al lato della strada.
In alcuni quartieri, invece, il rumore proviene dai negozi di giochi d’azzardo. Entrare in uno di questi posti è un’esperienza indescrivibile a parole. Il frastuono che deriva dalle slot machine è incessante e ben al di sopra dei decibel che l’orecchio umano possa sopportare.
Il contatto umano è inesistente. Le macchinette automatiche fanno sempre da tramite. Non solo le strade e le stazioni sono ricoperte di distributori, in molti ristoranti bisogna prendere l’ordine attraverso una di queste macchinette, spesso situate all’esterno. Anche nei ristoranti la gente è solitaria, arriva, saluta, ordina attraverso il distributore, mangia chino sul proprio cellulare, ringrazia, saluta e va via.
Il servizio e la cura del dettaglio nei ristoranti è impeccabile. I camerieri sono ligi al proprio dovere e prestano un servizio ineguagliabile. Rimangono li, a osservarti e fare attenzione che tutto sia in al suo posto. Si può notare l’ordine maniacale nelle piccole cose, come per esempio sale e pepe, contenitori di tovaglioli e salse sempre pieni.
Noi, invece, da veri italiani, arriviamo, parliamo ridiamo, mangiamo a volontà e ordiniamo birre su birre. Le birre giapponesi sono deliziose e noi cerchiamo di passarle al setaccio tutte quante.
Passiamo tre giorni a esplorare Tokyo e i suoi quartieri, uno più pazzo dell’altro, a camminare a più non posso, sciancandoci le gambe e a mangiare qualsiasi prelibatezza che troviamo nelle miriadi di ristoranti dispersi per la città. La regole è: guardiamo il menu all’esterno e se son presenti foto a cui possiamo puntare col dito e la birra costa intorno ai 400Yen (più o meno 3,5 Euro), entriamo.
In particolar modo mi viene ancora l’acquolina in bocca a pensare al sushi che abbiamo mangiato a Tsukiji, il mercato del pesce. Qui non abbiamo badato a spese, anche perhé non si può fare altrimenti.
Facciamo anche la prima esperienza in un Izakaya, il pub tipico Giapponese di cinque metri quadrati, dove si trova un bancone, un/a barista dietro, e alcuni sgabelli dove sedersi, ordinare alcolici (la scelta non è ampia vista la grandezza del bar) e qualche stuzzichino. Il tempo molto spesso, se non si continua a ordinare, è limitato e soprattutto…si paga un coperto di 500 Yen (quasi quattro Euri) – oltre al prezzo, eccessivo, del cibo e delle bevande! Bella esperienza come prima e ultima volta.
Le strade brulicano di negozi che alimentano il consumismo sfrenato della capitale, vendendo le stronz**, ehm gli oggetti più disparati. Tutti coloratissimi, scintillati, impacchettati e decorati. Quello che ho notato è che la grandezza di questi oggetti è indirettamente proporzionale alla loro utilità: più piccoli sono più sono inutili.
Sempre parlando dell`amore dei Giapponesi verso le cose inutili, una volta, in una stazione della metro, notiamo una coda lunghissima, con tanto di due addetti alla sicurezza. Subito dopo capiamo che quella coda è per farsi una foto e toccare il sederino di un pupazzo di Winnie the Pooh intallato in un palo della stazione!
Nonostante in questo Paese si producano tanti rifiuti (carta e plastica principalente) non ci sono i cestini della spazzatura manco a pagarli! Gli unici posti dove letteralmente svuotare il sacco (quello che hai appresso con tutta la spazzatura accumulata) sono i convenience store, dove a volte fai un salto solo per poter usufruire di quel miraggio!
La scalata del monte Fuji
Decisamente fuori forma, prendiamo il bus per andare alla quinta stazione del Monte Fuji.
Decidiamo di dividere la salita in due tranche, dato che vogliamo arrivare in cima per l’alba e l’idea di farci la scalata tutta d’una tirata, di notte, non ci sfaggiola per niente.
Lasciamo i bagagli nei lockers, andiamo all’ufficio informazioni e chiediamo di chiamare il rifugio e comunicare che saremmo arrivati troppo tardi per la cena, visto che, a detta dell’impiegata e della maggior parte delle guide online, ci avremmo messo circa cinque ore. Schiacciamo un cinque alla “bella bro, speriamo di sopravvivere” e partiamo. Il cartello all’inizio del sentiero avvisa i “bullet climber” (gli idioti come noi che decidono di farsi la scalata di fretta per arrivare in cima il prima possibile non mettendo in conto tutti gli inconvenienti che potrebbero capitare, come carenza di ossigeno e estrema fatica, per esempio) di fare attenzione. Ma noi siamo sardi testardi quindi chíssene e dopo due ore arriviamo al rifugio.
Un po’ presi dall’eccitazione affrontiamo la salita a pieno ritmo, non accusando per fortuna di nessuno sintomo dovuto all’altitudine. Carichi come delle molle quindi saliamo saliamo e saliamo sempre di più facendo ogni tanto delle piccole pause per far prendere un po’ di ossigeno al cervello e per ristabilire il battito cardiaco. Centelliniamo la poca acqua che abbiamo nelle bottiglie ma non riusciamo a farlo con lo scroscio d’acqua che arriva direttamente dal cielo per almeno venti minuti.
La via non è semplicissima, ma è fattibile per qualsiasi tipo di climber. Infatti, siamo circondati da famiglie con bambini/e, signori/e di una certa età e altra gente visibilmente non agilissima.
Arriviamo al rifugio poco prima del tramonto e la temperatura inizia a scendere drasticamente. Il rifugio di certo non si vale tutti i soldi che abbiamo pagato ma almeno abbiamo un tetto per buona parte della notte dove poter riposare e dormire tranquillamente. La sveglia delle tre e mezza riesco a disattivarla prima che suonasse dato che fino ad allora non riusciamo a chiudere occhio, forse per l’altitudine, forse per tutte le persone che continuano a girarsi e rigirarsi, soffiarsi il naso, russare e scoreggiare o forse a causa dell’adrenalina ancora in circolo.
Ci prepariamo per affrontare la seconda tappa della salita, questa volta al freddo e al gelo, al buio, stanchi morti e sonnolenti. Da veri italiani, facciamo lo slalom tra i diversi asiatici imbacuccati manco fossimo al polo nord. La maggior parte di loro esausti e visibilmente in difficoltà. Noi, invece, ancora con qualche traccia di adrenalina, continuiamo solo con qualche piccola sosta.
Giusto qualche minuto prima di arrivare in cima ci giriamo per guardarci indietro e veniamo abbagliati da un’immensa e abbagliante palla rossa che sbuca fuori dal cielo e illumina noi, la montagna e lo strato di nuvole sotto di noi, creando un mix di colori che ti rapiscono e ti fanno scendere qualche lacrima solo a guardarli. Ci fermiamo, ci sediamo su una pietra vulcanica e ammiriamo il panorama in silenzio per qualche minuto. Un po’ per il freddo un po’ per l’emozione rabbrividisco ad ogni respiro. Realizzo che siamo sopra le nuvole, sopra di tutto, a quasi quattromila metri di altezza, e c’è una pace indescrivibile. Tutt’attorno si può vedere il verde e il blu che ci circonda, il cielo infinito, i laghi che brillano e le nuvole che lentamente si spostano e sfumano all’orizzonte. Wow, penso. E poi penso “wow”, e poi ripenso di nuovo, “wow”, e non riesco a pensare ad altro.
Ci rialziamo e proseguiamo fino alla vetta, da dove lo spettacolo è ancora maggiore. Il cratere è immenso, e spendiamo quasi un’ora per circumnavigarlo. Da qui si può vedere l’ombra triangolare del monte su tutta la valle sottostante e il solo pensiero di essere sopra la vetta di quell’ombra mi fa rivenire gli occhi lucidi.
Appena iniziamo a scendere finisce la magia. I panorami che ci offre la discesa sono pur sempre spettacolari ma entrambi iniziamo a sentire le ginocchia e ogni muscolo delle gambe chiedere pietà. Le due ore che percorriamo a zigzagare tra le altre persone che se la prendono con calma (con molta calma!) sembrano un’infinità, e quando arriviamo alla stazione dove siamo partiti, battiamo un cinque da “bella bro, missione compiuta, siamo sopravvissuti” e ci stendiamo a terra insieme alle centinaia di altri turisti in attesa del bus che ci porta alla prossima destinazione: Matsumoto.
Vita da turisti
Sentiamo l’umidità che si attacca al nostro corpo ogni giorno di più. È un uragano. Stava arrivando piano piano fino a che non ce lo siamo sentiti addosso, per tre giorni consecutivi.
Arriviamo a Matsumoto sotto la pioggia e ci dirigiamo subito verso la guesthouse che abbiamo prenotato. La casa è abbastanza semplice e umile, in stile giapponese, con le porte scorrevoli di carta di riso, i tavoli bassi con i cuscini ai lati e i futon nelle camere. Il proprietario, di cui non ricordo il nome, ci accoglie non troppo calorosamente e ci lascia la casa tutta per noi. Fuori piove ma noi usciamo ugualmente a visitare il famoso castello della città, a quanto pare uno dei più maestosi del Giappone. La visita al suo interno ci lascia un po’ scontenti visto che non esistono guide esplicative sulla vita all’interno del castello. Ad ogni modo, gli interni, la struttura in se e i giardini attorno sono ben curati e molto affascinanti.
Andiamo a mangiare la specialità del paese, la Soba (dei noodles di grano saraceno freddi con salsa di soia), ma siccome a noi non basta, ci sfondiamo di Okonomiaki (una sorta di frittata di carne pesce, con mille altre salse sopra) e di Fried Noodles con verdure. Per finire Sake freddo. Nel frattempo il proprietario continua a parlarci imperterrito in giapponese e noi imperterriti continuiamo a non capire una parola. Le uniche parole che abbiamo imparato in Giapponese fino ad’ora sono Arigato e Conichiua, che usiamo in tutte le situazioni indistintamente per salutare e per ringraziare. A volte ci esce qualche Namaste – non capiamo bene perché.
Torniamo a casa alle nove di sera e ci addormentiamo in zero secondi, ancora esausti dal giorno precedente, e ci svegliamo alle otto del giorno dopo.
..segue qui.
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