Dopo ben 10 mesi di duro (si fa per dire) lavoro arriva finalmente il momento di andare in vacanza!
In realtà, il motivo per cui ho deciso di uscire dalla Nuova Zelanda e anche un altro. Da parecchi anni ormai festeggio il mio compleanno in un Paese diverso e le isole Fiji sono il posto più vicino ed economico dove non ero ancora stato.
Arrivo a Nadi (Viti Levu):
Questa volta niente di avventuroso però. Durante le settimane prima della partenza, la pianificazione del viaggio è stata basata sul “vediamo come e dove fare il meno possibile”.
La voglia di fare ancora meno è arrivata appena atterrato. Il caldo è l’umidità a cui non sono più abituato sono estenuanti. Arrivo un sabato pomeriggio con biglietto solo andata. Prima tappa: duty free. A quanto pare l’alcool, soprattutto i superalcolici, sono piuttosto cari in qualsiasi isola, quindi ecco il primo consiglio: fate scorta di alcool al duty free se volete risparmiare sull’alcool.
Bello tronfio dei miei acquisti mi avvio verso l’immigration desk e incontro Hannah, la quale con rammarico mi comunica che ha dovuto pagare 400FJD per una mela che aveva nella borsa, di cui si è dimenticata e che quindi non ha dichiarato alla dogana. Quindi ecco il secondo consiglio: fate attenzione e non portate con voi nessuno tipo di frutta, verdura o semi. Come la maggior parte dei Paesi in questa zona del mondo, i Fijiani ci tengono molto alle contaminazioni.
A quanto pare il cambio è migliore qui in aeroporto quindi cambio tutti i contanti che ho e mi dirigo verso l’uscita, dove ci aspetta la nostra guida che ci porta all’ostello.
In ostello son tutti molto accoglienti. Si trova davanti a una spiaggia che un tempo, pare, era una spiaggia paradisiaca ma che, a causa della deforestazione e delle costruzioni, è diventata una sorta di laguna con sabbia scura e col fondale ricoperto di alghe melmose. A quanto pare a Viti Levu, l’isola principale, non esistono le spiagge da cartolina.
Il caldo e l’umidità continuano a soffocarmi, quindi inizio a seguire il piano del “dolcefarniente”. Spendo i primi due giorni in piscina a sorseggiare il vino comprato in aeroporto. Il terzo giorno, insieme ad altri tre amici, decidiamo di andare a visitare le piscine termali di Sabeto,
a una ventina di chilometri da Nadi. Arrivarci ed entrare non è proprio economico. Riusciamo a barattare il prezzo con un’autista di taxi che ci fa da guida. O per lo meno questo è quello che speravamo. La guida in realtà è un indiano che non fa altro che parlare a vanvera. Si fa chiamare “ready“, “perché son sempre pronto per voi”. Mah, valli a capire sti indiani.
Vi chiederete, che ci fanno gli indiani nelle isole Fiji?
La popolazione fijiana è costituita da due gruppi etnici principali, gli iTaukei (54%), di origini melanesiane ed in parte polinesiane, nativi di queste isole e gli Indiani (38%), discendenti dei lavoratori nelle piantagioni di canna da zucchero, portati qui dagli inglesi sul finire del XIX secolo ed in calo negli ultimi decenni a causa di varie tensioni con l’etnia maggioritaria autoctona, esistono poi minoranze di europei, cinesi ed altri popoli dell’oceano (qui la fonte).
Ma ritorniamo ai nostri bagni termali.
Ci sentiamo subito in una sorta di trappola per turisti, ma il fatto di essere praticamente gli unici tre stranieri da un tocco di esclusività all’esperienza. I locali son seduti all’ombra e si sventolano agitando le goccioline di sudore che sgorgano dai loro volti. Ci guardano con aria penosa, come per dire “ma guarda un po’ sti co***ni”. L’aria puzza di zolfo e pena.
Ci riscopriamo di fango e spendiamo un’oretta a sollazzarci nelle piscine con acque termali. Ci accorgiamo troppo tardi che forse non è stata proprio un’ottima idea. Avremmo potuto cercare un’altra alternativa per sfuggire dal caldo, invece di immergerci in acque termali roventi!
Rientriamo all’ostello nel primo pomeriggio e spendiamo i restanti giorni a giocare a carte, chiacchierare con persone provenienti da ogni angolo del mondo e sorseggiare drinks.
Una mattina andiamo a visitare il centro di Nadi, il mercato locale di frutta e verdura, un altro mercato dove si vende artigianato vario e un tempio. Il tempio in realtà non riusciamo a visitarlo visto che durante la pausa pranzo mi accorgo di avere un problema alle vie urinarie…In un battibaleno mi ritrovo nella casa di un medico che mi rilascia una ricetta per un antibiotico..
Nel tardo pomeriggio, quindi, rientriamo all’ostello.
Ogni sera, i locali si siedono in circolo e iniziano il rituale della Kava. La kava è una radice proveniente da un arbusto appartenente alla stessa famiglia del nostro pepe da tavola. È scientificamente provato che abbia proprietà ansiolitiche, sedative, anti-convulsivanti, miorilassanti, anestetiche e ipnotiche.
All’interno di una scodella, si fa un infuso con acqua fredda. La radice la si mette in una calzetta e la si lascia immersa per qualche minuto. Il rituale consiste nel sedersi in circolo, cantare canzoni popolari e bere l’intruglio attraverso una ciotola di cocco. Ogni volta che si riceve la ciotola si dice Vinaka, grazie, e si battono le mani tre volte.
La kava è un ottimo sonnifero. Appena ci sentiamo storditi, infatti, andiamo tutti a dormire tranquilli e felici.
Nessuno di noi ha pianificato il resto delle vacanze. Prendiamo in considerazione diverse opzioni. L’idea di andare a fare trekking sul Monte Batilamu, nel Koroyanitu National Park, poco più a nord di Nadi, nasce e svanisce pressoché nello stesso momento. Il caldo è estremo e ci toglie tutte le energie. Decidiamo quindi di andare a passare una decina di giorni nelle Isole Mananuka e Yasawa.
Queste son i gruppi di isole a ovest di Viti Levu, le isole più conosciute, aliás più turistiche. Viti Levu, l’isola principale dove si trovano le città più grandi, Nadi (pronunciato Nandi) e Suva, è relativamente economica, ma appena ci si sposta verso le isole, il costo del cibo e degli alberghi lievita sostanzialmente. Fate conto che le isole Fiji son formate da più di 300 isole! Visitarle tutte è pressoché impossibile.
Mana Island:
Decidiamo di spendere una decina di giorni nelle isole più economiche.
La maggior parte delle persone che vengono alle isole Fiji viaggiano per due o tre settimane saltando da un’isola all’altra grazie a un pass (Bula pass) che permette di prendere il traghetto illimitatamente.
Noi, essendo dei poveracci e con poca voglia di sbatterci da una parte all’altra, attraverso il Travel desk dell’ostello, prenotiamo 6 giorni nel Mana Island Backpackers, nell’isola di Mana, e sei giorni in un homestay nell’isola di Wayasewa.
Il Mana Island Backpackers è un ostello molto basico. Anzi, vi dico la verità, è forse uno degli ostelli peggiori dove sia mai stato. I proprietari e la location, però, ripagano il tutto. La spiaggia dove si trova è paradisiaca e giusto dietro la nostra stanza si trova il villaggio.
Non c’è un granché da fare. Metà dell’isola è stata privatizzata da un resort a cinque stelle (il Mana Island Resort and Spa) e non è accessibile. Nell’altra metà ci sono altre tre strutture. L’intera isola è circumnavigabile in un paio di ore ma i punti più interessanti sono giusto dietro il nostro ostello. A dieci minuti di camminata si trova una spiaggia isolata dove fare snorkeling e giusto accanto c’è un sentiero che porta a un punto panoramico in cima a una collina. Il panorama, ovunque ci si trovi, è mozzafiato. L’intera isola è un oasi di pace, nonostante il caldo sia talmente asfissiante che toglie tutte le energie. Durante il giorno, l’attività principale è ciondolare nell’amaca, gettarsi in acqua e fare snorkeling o al massimo giocare a volleyball. Le sere, invece, l’ostello/resort affianco al nostro si anima. I locali, talentuosissimi, si sbizzarriscono con danze, balli e canzoni folkloristiche mentre altri gruppi preferiscono stare tranquilli a bere kava nel villaggio affianco. La maggior parte dei residenti nel villaggio lavorano nel Mana Island Resort and Spa, mentre i restanti cercano di sopravvivere in maniera autosufficiente, coltivando kasava (un tipo di patata dolce locale – uno degli ingredienti principali nella cucina fijiana) o altri tipi di frutta (principalmente cocco e banane). Tutti sembrano stremati dal caldo ma nonostante ciò nessuno nega un sorriso.
Uno degli aspetti che mi colpisce di più è che in alcune zone delle isole Fiji, non c’è molta differenza tra il modo di vestirsi tra uomini e donne. Entrambi indossano camice a fiori, gonne fino al ginocchio e un fiore di frangipani all’orecchio. Nell’orecchio sinistro, se si è single, nell’orecchio destro se si è fidanzati o sposati…o nei capelli se..si è apertamente alla ricerca! Questo per lo meno è quello che ci è stato detto una sera da un locale – ma forse aveva bevuto troppa kava.
Durante il nostro soggiorno nell’isola di Mana andiamo a fare alcune immersioni. La barriera corallina è meravigliosa ed è possibile vedere diversi tipi di animali marini: mante, razze, squali (reef shark), tartarughe, barracuda e innumerevoli tipi di pesci di barriera (coral fish).
Sei giorni volano. Alle dieci del mattino abbiamo appuntamento con il ragazzo che ci porta all’isola di Wayasewa con la sua barca. Ovviamente non partiamo alle dieci perché tutto qui gira intorno alla filosofia del “Fiji time“. L’orologio esiste come metodo per scandire il tempo ma nessuno ne tiene veramente conto. Partiamo quasi un’ora dopo.
Isola di Wayasewa:
Arriviamo nel villaggio a sud dell’isola dove ci accolgono Manu e Lewa. Qui vivono meno di un centinaio di persone. Manu e un altro paio di famiglie hanno trasformato le proprie case in homestay per turisti, contribuendo così al fabbisogno delle altre famiglie del villaggio. Ciò che mi affascina è proprio questo. Queste tre famiglie si prendono cura, soprattutto attraverso la condivisione del cibo, di altre famiglie meno abbienti.
Manu e Lewa, da un paio di anni, hanno avuto l’iniziativa imprenditoriale e deciso di avventurarsi in una nuova realtà, il più auto-sostenibile possibile. Con i soldi ricavati in questi anni, son riusciti a comprare un pannello solare che alimenta quasi in toto il fabbisogno giornaliero di energia. Tenete conto che la maggior parte delle case del villaggio sono alimentate, solo in alcune ora del giorno, da un generatore. Anche l’acqua viene centellinata e usata con parsimonia, mentre nella casa di Manu è Lewa, grazie a numerose cisterne installate attorno alla casa che raccolgono l’acqua piovana, questa non manca mai.
L’isola è piuttosto grande rispetto alla maggior parte delle altre isole fijiane. In questa parte, non troppo lontano dal villaggio, si trovano due resort, mentre nell’altra parte dell’isola, raggiungibile solo in barca, si trova un altro villaggio più grande e la scuola che frequentano i figli di Manu e Lewa. Anche qui, come nella maggior parte delle isole fijiane, le attività sono sempre e solo tre: trekking, snorkeling e relax. Tutto scandito dal fijian time.
Le giornate sono lunghissime. L’afa è soffocante, sia di giorno che di notte, quindi, anche qui, passiamo le giornate a ciondolare nell’amaca, parlare con la gente del villaggio e mangiare. Manu e Lewa sono degli eccellenti cuochi!
Proprio davanti alla casa si trova una chiesa dove si fa la messa tre volte al giorno. Per annunciare l’inizio della messa, il pastore del villaggio batte un bastone su una costruzione di legno simile ad una barca. Guarda caso l’inizio della messa coincide, la maggior parte delle volte, con l’inizio del nostro pasto. Quindi, mentre la maggior parte della gente si rallegra per l’inizio della messa, noi ci rallegriamo per l’arrivo delle lecornie!
Molti degli ingredienti vengono direttamente dall’orticello dietro casa: kasava, patate, cocco, papaya, breadfruit e taro. La carne e il pesce pure, di solito provengono dai pescatori locali o dalle capre, cinghiali e mucche che pascolano selvaggi nei boschi qui attorno.
Sei giorni passano lenti. Le giornate vengono scandite dalla voce di Lewa che urla “lunch is ready!”, i bambini che corrono da una parte all’altra e io che dico agli altri “I go snorkeling“.
Ogni tanto ci capita di fare due chiacchiere con gente del villaggio. Alcuni ci raccontano della propria famiglia, di cugini partiti per andare in guerra, delle loro giornate passate a piantare kasava sotto il sole cocente e dei loro progetti per i propri figli.
È l’ultimo giorno; abbiamo la barca alle 10, che ovviamente parte alle 11:30. Manu, Lewa e i bambini ne approfittano per venire con noi a Viti Levu e comprare provvigioni per i prossimi ospiti. Dopo neanche mezz’ora di viaggio il motore si ferma e all’improvviso ci troviamo nel mezzo dell’oceano, immersi nel silenzio più totale e con il capitano della barca che dice “the engine broke“, s’è rotto il motore. Dopo alcuni secondi di suspense, ci guardiamo divertiti gli uni con gli altri. Il capitano spende dieci minuti a cercare di aggiustare il motore ma senza grandi risultati. In qualche modo il motore riesce a portarci piano piano nell’isola di Vomo, a soli 5km da dove ci troviamo. Scendiamo dalla barca e ci nascondiamo sotto le mangrovie per ripararci dal caldo e dal sole cocente (anche perché essendo sbarcati davanti a un resort privato per milionari, i proprietari ci dicono che quello è l’unico posto dove possiamo stare – bast****).
Il capitano spende altri venti minuti cercando di riparare il motore ma anche questa volta senza grandi risultati.
Ripartiamo alla volta di Viti Levu ma praticamente a passo d’uomo. Quello che doveva essere una traversata di un’ora si è trasformata in un viaggio della speranza di quasi quattro ore! È stato stremante, soprattutto perché il sole cocente ci stava ammazzando!
**Lo so sto diventando ripetitivo ma vi voglio dare un’idea di quanto caldo faccia! :-)**
Rientro a Viti Levu: Novotel Hotel e Beachhouse:
Per rifocillarci da quasi due settimane di continuo sudare e per recuperare un po’ di energie, grazie agli sconti che ho attraverso l’hotel dove lavoro in Nuova Zelanda, decidiamo di passare due notti in un hotel a quattro stelle: il Novotel Hotel. Qui ci rinchiudiamo per tre giorni e due notti senza mai uscire.
Beachouse e Uprising (Coral Coast e Pacific Harbour)
11 Febbraio. Ci svegliamo tardi, approfittiamo per abbuffarci al buffet della colazione e alle 11:15 abbiamo il transfer (che ovviamente parte alle 11:00 – Fiji time, remember?) che ci porta alla stazione dei bus. Ci spariamo un’ora di bus pubblico per arrivare in paradiso. Nella costa sud, a metà strada tra due paeselli chiamati Komave e Namatakula, si trova il Beachouse resort. È conosciuto tra i backpacker per essere uno dei resort più economici e con una delle spiagge più belle nell’isola di Viti Levu. Appena arriviamo alla reception, veniamo informati di un upgrade: bure (così si chiamano le abitazioni tipiche fijiane) privato invece del dormitorio! Il nostro soggiorno di quattro giorni inizia alla perfezione!
Tutti son gentilissimi, sorridono e ti chiamano per nome. Gli spazi comuni sono enormi, amache ovunque, sdraio, piscina, piattaforma dove si fa yoga tutte le sere, tavolo da ping-pong, campo da calcio e beachvolley, lezioni di surf, SUP (stand up puddle), merenda gratuita i pomeriggi e tanti altri servizi. Ma la cosa più importante…non fa caldo! La brezza marina lo porta via. Finalmente si respira.
Indovinate cosa facciamo per il resto del pomeriggio? Indovinato, niente. Ciondoliamo nell’amaca e festeggiamo con una bottiglia di spumante.
La mattina successiva ci svegliamo e Cox, un ragazzo del villaggio accanto che si improvvisa guida naturalistica e porta gli ospiti del Resort a fare trekking nella giungla a soli FJD10 per persona, ci chiede se vogliamo aggiungerci al gruppo. Ci avventuriamo così in un tour di tre ore attraverso cammini melmosi nella giungla che ci portano a delle piccole cascate, dove rimaniamo per una buona oretta.
Al rientro, intenti a comprare banane e a fare gli idioti tra le pozzanghere, perdiamo il gruppo. Per fortuna incontriamo un locale che ci dirige verso l’uscita.
Ormai ci sentiamo a casa, il barista sa che alle sei abbiamo bisogno di una bottiglia di spumante con tre bicchieri e appena finiamo la bottiglia ci fa trovare tre birre già stappate.
Anche qui, i giorni passano lenti tra chiacchiere e acqua di cocco. Le tre notti diventano poi cinque.
Il sesto giorno, però, decidiamo di continuare a oziare in un altro Resort. Facciamo autostop e andiamo a Pacific Harbour, sempre nella costa sud.
Anche qui, prenotiamo una notte, che poi diventano tre.
Shark diving: immersione con gli squali
Uno dei motivi per cui son voluto venire qui è la Beqa Island Lagoon. Questo posto è uno dei pochi luoghi al mondo dove poter fare immersioni liberamente con gli squali.
E’ un esperienza unica, e proprio per questo, abbastanza cara.
Ci sono due compagnie che operano in questa zona: AquaTrek ha delle ottime recensioni online e in più offre uno sconto di FJD50, quindi opto per loro.
Mi vengono a prendere al resort alle otto del mattino e mi portano al centro immersioni a un paio di chilometri. Il briefing è stato abbastanza chiaro: fate quello che vi dico io e non vi succederà niente.
Il nome dove si radunano tutti gli squali si chiama Bistro, perché è qui che vengono offerti loro degli snack di prima giornata. Una volta arrivati, mentre ci prepariamo vediamo la barca circondata da quattro squali e il mio unico pensiero è “Oh cazz..”
Tra un mix di diverse emozioni e adrenalina, ci immergiamo e ci ripariamo dietro un muro di pietra. Davanti a noi due bidoni verdi della spazzatura che vengono aperti un po’ alla volta e gli squali si godono il loro snack. Nel giro di un paio di minuti ci ritroviamo circondati da almeno una ventina di squali, alcuni di loro di almeno 3 metri di lunghezza! Restiamo lì per quasi una mezz’ora ad ammirare lo spettacolo. Insieme agli squali ci sono una miriade di altri coral fish che visti in un altro momento mi avrebbero creato tanto stupore (tonni, trevally giganti, pesce pappagallo enormi ect), ma davanti a questo spettacolo..insomma..chi se li cacca!
Risaliamo in barca e ripetiamo lo stesso identico show.
Ora, un paio di considerazioni. Son sempre stato abbastanza scettico riguardo questo tipo di attrazioni turistiche, vista la sensibilità del tema. E anche questa volta non ero sicuro se l’operato del centro immersioni rispettasse o meno le regole per un turismo etico e sostenibile.
Ho provato a cercare notizie online a riguardo e ho trovato pareri discordanti. La maggior parte dei commenti da parte di esperti erano abbastanza positivi, quindi ho deciso di provarlo.
Personalmente, preferisco le immersioni di scoperta, dove si nuota liberamente e si va a alla scoperta delle piccole meraviglie sottomarine. In quel muro mi sembrava di essere dietro alle sbarre di uno zoo ad ammirare degli animali portati li con l’inganno. Inoltre, quando faccio una doppia immersione, preferisco farla in due posti differenti. Il fatto che si faccia la stessa identica cosa due volte mi fa pensare che sia semplicemente un modo per spillarti i soldi.
Alla fine dell’immersione ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con una biologa marina dottoranda presso l’università di Auckland, in Nuova Zelanda. La sua ricerca è concentrata principalmente nella relazione tra le immersioni con animali marini, la conservazione degli stessi e l’influenza dei social media. Appena le presento le mie preoccupazioni riguardo la sostenibilità o meno del progetto, lei mi rasserena dicendomi che la percentuale del cibo che ogni squalo riceve in quell’oretta equivale a un piccolo snack per loro è che non influisce sulle loro capacità di procurarsi il cibo da soli. Inoltre, buona parte dei fondi guadagnati vanno verso la comunità locale che gestisce la riserva marina che si occupa di diversi progetti di conservazione ma che soprattutto vieta la pesca di squali nella zona, arrestando la compravendita di carne di squalo (un grande business in passato).
Con l’animo in pace quindi, rientro al resort e, con ancora l’adrenalina in corpo, continuo a non far niente.
Suva:
Decidiamo di trascorrere gli ultimi quattro giorni in un resort immerso nella foresta pluviale a 15 minuti di bus fuori di Suva che trovo su booking.com a un prezzo stracciato.
La capitale fijiana è un posto interessante. Completamente diverso dagli altri posti visitati fino ad’ora. È una città caotica, dove i bus e le macchine sfrecciano per le strade puzzolenti. I mercatini all’aperto dove i locali vendono frutta e verdura seduti per strada si alternano a grandi centri commerciali dove ci si trova di tutto. Bus e taxi corrono impazziti per le strade mentre gli uomini corpulenti e le donne vestite con abiti coloratissimi attraversano le strade. Nel porto grosse navi da crociera sgorgano turisti come un fiume in piena.
Ogni tanto facciamo un salto in centro per scoprire le vie della città, la movida durante il giorno e la vita notturna. Il museo archeologico in centro pare interessante ma per un motivo o per l’altro non troviamo il tempo per visitarlo. Entriamo a visitare una chiesa di recente costruzione e il mercato locale.
Ultimamente, invece di comprare souvenir, mi faccio un tatuaggio nei paesi che visito, quindi ho pensato che questa sarebbe stata la volta buona per farmi un tatuaggio in una delle isole del Pacifico. Cerco su Google, scrivo al tatuatore, prendo un taxi e in meno di un’ora mi ritrovo sdraiato nel letto di un padre di famiglia che mi tatua il polpaccio.
Il giorno dopo invece intraprendiamo un trekking di quasi tre ore nel parco affianco al resort, il Colo I Suva National Park. La strada principale porta a due piscine naturali dove ci si può fare il bagno. Purtroppo arriviamo insieme a un gruppo enorme di turisti appena sbarcati da una crociera quindi spendiamo giusto una decina di minuti a rifocillarci per poi proseguire il nostro trekking.Anche gli ultimi giorni li passiamo a non far un granché, beviamo caffè in riva al laghetto (una palude più che un lago) dove si trova il nostro resort, scambiamo due chiacchiere con alcuni locali e ci godiamo il silenzio, la tranquillità e la pace che caratterizza queste isole.
State pensando di andare alle Fiji? Eccovi alcuni piccoli consigli utili:
- Gli italiani hanno un visto on arrival valido per tre mesi;
- Il periodo migliore per andare alle isole Fiji è da Novembre ad Aprile, negli altri mesi il caldo e l’umidità vi uccideranno;
- Usate i bus pubblici e non i taxi se volete risparmiare (come in tutte le parti del mondo d’altronde); sono frequenti e molto economici!
- Fate almeno un’esperienza in un homestay per assaporare la cultura e l’ospitalità fijiana.
- Se avete poco tempo vi consiglio vivamente il Beachouse a Viti Levu e magari un soggiorno in una homestay, in una delle isole Mananuka e Yasawa;
- Se avete poco tempo ma molti soldi, andatevene in un resort in una delle sopracitate isole; assicuratevi di comprare un pacchetto con pensione completa. I ristoranti dei resort sono carissimi (FJD100/40Euro per un piatto, che normalmente ne costa FJD10)!
- I trekking migliori da fare sono il Monte Tomanivi e il Monte Batilamu, entrambi a Viti Levu. Gli altri sono piccole camminate nella foresta.
- Se prenotate ostelli, occhio ai bed bugs (le cimici dei letti)!
- L’acqua del rubinetto è ottima. Lasciate perdere i locali che vi dicono che dovere comprare l’acqua in bottiglia. Vogliono solo contribuire all’economia locale.
- Non stressatevi troppo a cercare “la migliore isola”. Un’isola vale l’altra. Cercate la miglior offerta!
- Mangiate nei ristoranti locali, non perdete tempo a fare la spesa e comprare cibo occidentale, che e caro e non di qualità;
- Se siete interessati a fare immersioni con gli squali assicuratevi che la compagnia con cui lo fate segua le regole e lo faccia in modo eco-responsabile (qui un link utile);
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